venerdì 17 dicembre 2010

Letterina di Natale

Caro Babbo Natale,
quest’anno sono stata più cattiva del solito e, per questo, non ti chiedo un regalo per me, ma di esaudire pochi desideri per l’Italia tutta. Per alcuni forse ci vorrebbe qualcuno più in alto di te, ma ho saputo da fonti attendibili che ha la tessera del PdL. Per cui, fa’ quel che puoi.

Dacci un nuovo capo della Protezione Civile. Magari uno che non abbia così tanti dolori cervicali.
Fai che le statuette del Duomo abbiano le guglie più appuntite.
Spiega bene alle igieniste dentali dove si trova l’apparato masticatorio. Tendono a confonderlo con quello riproduttivo.
Chiama in Questura per dire che sono tua nipote.
Fai nascere più bambini. Ma, mi raccomando, appassionati di belle ragazze, non gay. (Evita di raccontare a B. di quella tua tresca con l’elfo. Non l’apprezzerebbe).
Non dirci di cercare un fidanzato ricco. Piuttosto, facci trovare un lavoro.
Dichiara la cacca legittimo impedimento. Almeno, per una volta, sarà vero che la legge è uguale per tutti.
Ricorda a chi ci dice che possiamo andare avanti solo per merito che non si deve andare a Reggio Calabria a fare l’esame di stato.
Dai da mangiare agli affamati. E, per favore, anche a Pannella.
Esaudisci il desiderio dell’arcigay di fare una capatina ad Arcore per spiegare a B. che cos’è il bunga bunga.
Licenzia tutti i magistrati bolscevichi. Che non sono gli stessi della lotta alla mafia.
Non costringerci più ad occupare il Colosseo per difendere i nostri diritti. Comunque sappi che la prossima tappa sarà ad Antigua. Gli studenti veri, invece, resteranno a casa a studiare.
Evita di far fare concerti alla Camera dei Deputati: i parlamentari veri sono lì a legiferare.
Riporta Moccia dall’Isola Che Non C’È.
Fai che il TG1, tra una combinazione e l’altra del Superenalotto, trovi il tempo di dare pure qualche notizia.
Di’ alle forze dell’ordine che il primo posto dove devono cercare i latitanti è casa loro.
Fai che i preti siano meno affettuosi con i bambini.
Visto che i cervelli sono in fuga, fai che almeno i culi che restano siano italiani.
Di’ ad Emanuele Filiberto che se ci canta ancora una volta Italia, amore mio glielo diamo noi il risarcimento ai danni morali.

Infine, caro Babbo, poiché so che hai necessità di nuovo personale e noi ne abbiamo da smaltire, ti consiglierei di assumere:
Bossi e Alemanno. Uno impacchetta i regali e l’altro fa il fiocco. Sapessi quanto vanno d’accordo quando gli metti davanti polenta e coda alla vaccinara!
Bondi all’addobbo dell’albero. Speriamo solo che non faccia crollare pure quello.
Brunetta al controllo operatività. Non ci saranno più assenze per malattia tra i tuoi elfi.
Minzolini all’ufficio acquisti. Attento, però, che non vada in trasferta in mete esotiche. A spese tue.

E, dato che a Natale siamo tutti più buoni, regala un leader al PD, un utilizzatore finale alla Binetti, una S a Vendola, una bandiera dell’Italia a Bossi, una carta di credito a Minzolini, un paio di scarpe col tacco a Brunetta, una ricordella a Gasparri, una motovedetta a Frattini, un maestro unico alla Gelmini, un sacco di monnezza alla Prestigiacomo, un naso nuovo alla Santanchè, un elicottero alla Brambilla, un pallottoliere a Tremonti, un plastico di Pompei a Bondi (da portare a Vespa alla prima occasione), e, all’approssimarsi delle urne, per ogni voto, in omaggio un calendario della Carfagna a tutti gli elettori del PdL.
Anche una bambola gonfiabile a Berlusconi. Almeno quella non potrà denunciarlo.

Ah, un consiglio: quest’anno non vestirti come al solito perché, sai, di rosso e con quella tuta da operaio potrebbero scambiarti per un comunista.

A presto,

Chiattiva

mercoledì 1 dicembre 2010

Barocco in pizzo in pizzo

Sarà stata la levataccia alle sei di mattina, la riunione pleonastica alla quale sono stata costretta a partecipare, l’alito cipolligno, le mani che puzzavano di kebab, il fatto che non resto alzata fino a quell’ora nemmeno per capodanno, ma proprio non ho apprezzato ‘sto concerto “barocco in pispisi” (barocco in pizzo in pizzo, tanto per intenderci, solo detto in sardo) di Paolo Fresu. Sì, sì, bravo, ma che sfrantamento de co****ni… però te lo dico in punta di dita, eh, Ci’!

mercoledì 17 novembre 2010

Il cimitero di Praga

Come sempre, parlare dei romanzi di Umberto Eco è cosa tutt’altro che facile. Nondimeno, mi cimenterò nell’impresa. Ai posteri l’ardua sentenza.

Dalla penna dello stesso autore, già padre de Il nome della rosa, nasce quest’anno Il cimitero di Praga. Se col primo Eco era riuscito a riabilitare agli occhi della letteratura il romanzo giallo (se solo di giallo si può parlare), da sempre considerato di second’ordine, costruendo un impianto culturale che rendeva impossibile confinarlo in un genere narrativo, con questo adotta la stessa, e sempre vincente, tecnica.
Con un banale espediente, infatti, il Narratore (come lo chiama lui) si finge ignaro dell’identità del protagonista e la scopre insieme a noi lettori ripercorrendo la sua vita, che si intreccia saldamente alla storia d’Italia e a quella d’Europa in un crescendo di intrighi, messe nere, cospirazioni. Tutto ruota attorno ad un misterioso manoscritto ambientato nel cimitero di Praga, redatto allo scopo di screditare il popolo ebreo.
Sicuramente un libro complesso, perché complessa è la sua trama. Troppi nomi, troppi fatti da ricordare.
Nonostante ciò, non posso certo condividere l’opinione riportata su L’Osservatore romano da Lucetta Scaraffia che afferma che il romanzo “è noioso, farraginoso, di difficilissima lettura. Perfino per una persona come me, che forse capisce i suoi riferimenti storici”. Modestia a parte, cara Lucetta, credo che anche Eco, dall’alto delle sue molteplici lauree e che pure si muove a suo agio tra gli eventi narrati – di cui è profondo conoscitore –, abbia dovuto fare un bel po’ di fatica per destreggiarsi fra tutti quei complotti. Addirittura, Lucetta, come un paladino in groppa al suo cavallo bianco, ma in odore di santità, arrivi ad affermare che “c’è un solo commento che dà un po’ di spessore storico all’ostilità ottocentesca della Chiesa verso gli ebrei”. Naturalmente capisco che tu debba difendere chi ti dà da mangiare. Continui poi dicendo – perché lo dici, anche se con un ben congegnato gioco di parole – che il lettore potrebbe chiedersi se davvero l’ebreo sia il ricovero di ogni male. E che vorresti farci credere? Che in realtà Eco è un gretto antisemita?! Ma per favore! Mi stupisce che qualcuno della tua levatura non arrivi a capire che l’autore mette in bocca parole, ed in testa idee, ad un protagonista non solo abbietto e crapulone, ma anche a chi odia indiscriminatamente e che, soprattutto, odia chi non conosce. Ma vabbè, il mondo è bello perché è vario e perché ognuno è libero di pensarla come più gli aggrada.
A proposito, Lucetta, io c’ho messo pochi giorni a leggerlo e, diversamente da te, forse non capisco i riferimenti storici. Esercizio di stile? Sì, ma che stile! Per fortuna, qualcuno se lo può ancora permettere.

venerdì 12 novembre 2010

Alla cortese attenzione del Sig. Anonimo


Diario di una mente cattiva, 12 novembre 2010

Gent.mo Signor Anonimo,
volevo dirLe quattro cose* in risposta alla Sua del 22 ottobre a.c.
Mi stupisce che Lei abbia potuto credere che io avessi scritto “8-10 volte” pensando che la protagonista del romanzo che io recensivo si fosse potuta sposare davvero otto, nove o dieci volte. Anche perché ci sarebbe, tra la prima e l’ultima possibilità, uno scarto** di ben due volte che, come Lei ben sa, rappresenta, su questo intervallo, un buon 20%. Il che, ammettendo che dieci sia un campione significativo, rappresenterebbe un abominio matematico-statistico, il che, nuovamente, sarebbe impossibile da processare nel mio cervello.
RingraziandoLa nuovamente per l’interesse dimostrato, porgo distinti saluti.

(oggi più che mai) Chiattiva


* essendo Lei dotato di così pungente acume, vorrei precisarLe che intendo usare questa come espressione idiomatica.
** dico “scarto” col significato che la parola assume nel senso comune del termine ma che, dal punto di vista statistico, rappresenta il doppio dello scarto quadratico medio, o deviazione standard che dir si voglia, da calcolarsi in questo caso come:
Dove:



martedì 9 novembre 2010

Fattore X? Macché, fattore famiglia!

Si è tenuta a Milano la seconda conferenza nazionale sulla famiglia. Ad aprire i lavori avrebbe dovuto essere Mr B., ma poi chi li ha organizzati, visto il recente scandalo Ruby, considerato quello precedente con la Daddario, ragionato sulle varie amichette, ponderato il divorzio, valutate le lettere aperte di Veronica Lario e via dicendo, ha pensato di glissare sulla presenza del nostro beneamato Presidente del Consiglio. È stato perciò Giovanardi a parlare della mirabolante iniziativa del quoziente – o, meglio, fattore – familiare. Questa fantastica proposta sarà lo strumento supremo che sventerà per sempre il problema della bassa natalità e dell’invecchiamento della popolazione, tenendo conto del numero dei componenti della famiglia a fine anno, nell’amaro momento in cui si corrisponde allo Stato quanto dovuto, cioè quando si pagano le tasse.
Bene, finalmente una buona riforma! Se non fosse che poi si è scoperto che a beneficiarne sarebbero le famiglie ad alto reddito e solo se dotate di prole mocciolosa. Non solo, ma questi nuclei familiari dovrebbero essere, per godere dei circa cinquecent’euro (pochi e maledetti, detratti – badate bene – non gentilmente elargiti ai nuclei stessi), monoreddito. Pochi sarebbero i vantaggi per le famiglie con due entrate, anche se al limite della povertà.
Quindi, ricapitoliamo. Avete fatto una riforma che non solo aiuta chi non ha bisogno di aiuto, ma ostacola il tanto osannato lavoro femminile? Ma come! Proprio voi, che siete il governo con più ministri in gonnella della storia! O forse ci volete mandare un velato messaggio che vuole dire: «Tu, donna, partorirai con dolore e tutto quello che dovrai fare sarà allattare e correre dietro a dei paffuti batuffoli spara cacca»?
E poi, vabbè va, abbiamo capito che volevate ottenere il plauso dei pii cattolici e del Pontefice quando avete parlato di famiglia “tradizionale”, unita perciò nel sacro vincolo del matrimonio. Che poi mi chiedo, ma davvero la Chiesa sosterrebbe: «Fino al sacro vincolo guai a consumare, poi invece dateci giù per tutto quello che non avete fatto prima e procreate più che potete»?!
Ma non divaghiamo. La folgorante risposta del PD è stata: «Un assegno annuale di 3.000 euro per figlio». Ah, certo, la panacea di tutti i mali! Come non pensarci prima? (Tra parentesi, dove mai troveremmo i soldini?) Non fa niente se non c’avete una casa perché costa troppo, un lavoro perché siete precari e non potete godere dei diritti minimi dell’essere umano da che è stata fatta la rivoluzione francese. Intanto fate i figli, fate, che poi ci pensa il fattore famiglia!

venerdì 8 ottobre 2010

Una Cassandra al contrario

Come una Cassandra al contrario, ma senza che nessun Apollo mi abbia sputato sulle labbra condannandomi a rimanere inascoltata, avevo predetto la fortuna di Mario Vargas Llosa a cui, come molti di voi sapranno, è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura del 2010.
E se ne possono trovare le prove, Vostro Onore, qui e qui.

giovedì 7 ottobre 2010

Il fantasma di Canterville


Quello del fantasma di Canterville è uno dei racconti più conosciuti e divertenti di Oscar Wilde. Fantasma maldestro che, dopo secoli e secoli di onorata carriera, si vede sottrarre “dignità e posizione sociale” da una pragmatica famiglia americana. La quale non solo cancellerà con lo smacchiatore universale il segno del sangue versato durante l’assassinio della moglie di Sir Simon de Canterville, redivivo per infestare il suo maniero, ma cercherà anche di lubrificare i suoi ceppi che – si sa – di notte disturbano il sonno. E però la colpa è anche sua! Dove si è mai visto un fantasma costretto a letto da un raffreddore e che si sbuccia le ginocchia nel tentativo di entrare in un’antica armatura?
Se posso consigliarvi, leggete la versione illustrata da Oski delle Nuove Edizioni Romane (messaggio pubblicitario purtroppo non retribuito!!)

martedì 28 settembre 2010

SPQR = Sono Pochi Questi Romani

Sono Pochi Questi Romani – troppo pochi, purtroppo – per mandare a casa il Ministro delle Riforme
Sono Pochi Questi Romani per spiegargli che c’abbiamo messo tanto a fare l’Italia e adesso la vogliamo unita
Sono Pochi Questi Romani – ma abbastanza – per fargli sapere che ce l’avremmo noi una cosa migliore della bandiera italiana per “pulirgli il c**o” : si chiama carta vetrata
Sono Pochi Questi Romani per insegnargli che la “schiava di Roma” è la vittoria
Sono Pochi Questi Romani – ce ne vorrebbero di più – per dire a suo figlio che ci si spezza il cuore se non tifa la nostra nazionale ai mondiali
Sono Pochi Questi Romani per dirgli che, se vuole, ci può pure tornare nella natia val padana. Nel frattempo, le mettiamo noi le bighe in garage. Lui, però, ci mette la nebbia.

mercoledì 15 settembre 2010

Questionario letterario

Con un po’ di ritardo rispetto alla richiesta de La Lega dei Supereroi, vi propongo un interessante questionario.

1) Quale libro stai leggendo attualmente? I promessi sposi di Alessandro Manzoni e le fiabe dei fratelli Grimm. Ho giustappunto finito di leggere la vera storia di quella “granculo di Cenerentola”, per citare quella granculo di “pretty woman”.
2) Perché l’hai scelto? Qualcun altro lo ha scelto per me. Nello specifico, non mi ricordo chi dei partecipanti del Circolo Pickwick, iniziativa letteraria in cui, mentre magnamo schifezze, discutiamo dei libri che leggiamo, dandoci delle grandi arie (qui tutte le informazioni).
3) Ti piace farti consigliare libri dagli amici? Dipende da quali amici. Se hanno bei gusti, sì.
4) Lo scaffale che visiti per primo in libreria? Classici. Visiterei volentieri quello delle novità. Se solo ci fosse una novità degna di essere letta.
5) Il tuo libro preferito? Troppi. Non sapendo quale scegliere, propongo una personale hit parade letteraria, per genere. Favole: Le avventure di Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie. Fumetti: Watchmen. Fantasy&co: Il signore degli anelli, Dracula. Fantascienza: Il cacciatore di androidi, 1984, Farenheit 451. Romanzi: (simil-storico) Via col vento, Il nome della rosa, Q, I miserabili, (altro) Ulisse, La delfina bizantina, Il profumo, Lolita, Notre Dame de Paris, La fattoria degli animali, Cime tempestose, Il ritratto di Dorian Gray, Delitto e castigo, I fiori blu, L’urlo e il furore, Oceano mare, Auto da fé, Don Chisciotte della Mancia.
6) Quello più brutto? Tutte le saghe fantasy (e similari) post e pre Tolkien, tranne quella di Tolkien, per cui un encomio sentito va a Le cronache di Narnia, letterariamente spregevole, dalla cui trama, che non credevo fosse possibile peggiorare, è stato tratto un inquietante lungometraggio degenerato col doppiaggio del leone di Omar Sharif.
7) L'ultimo libro che hai letto? Tecnicamente, l’ultimo che ho letto è stato Dracula di Bram Stoker. Cronologicamente, però, l’ultimo che ho riletto è stato Il nome della rosa di Umberto Eco. Tutto ciò perché abbiamo deciso di stupirvi con effetti non speciali, ma multimediali e stavolta - udite udite - il Circolo Pickwick non solo si terrà nella suggestiva cornice dell’abbazia di Farfa durante Lib(e)ri Sulla Carta, la Fiera dell’Editoria Indipendente, ma alla lettura si affiancherà la visione della trasposizione cinematografica del capolavoro di Eco, di cui discuteremo. E saremo tutte contente poiché la pellicola, molte di voi lo sapranno, ha per protagonista Sean Connery che, come il buon whisky scozzese, migliora invecchiando. Venghino siori, venghino.
8) Quello che aspetta sullo scaffale da anni? Nessuno. Leggo con certosina solerzia qualunque cosa, purché sia di qualità.
9) Quello che rileggeresti? Cfr. domanda n. 5.
10) Quello che non hai compreso? Ma che domanda è questa?
11) Quello che hai lasciato a metà senza rimpianti? Sulla strada di Jack Kerouac. Beat generation? No, grazie. Giovani nomadi alcolizzati - i più prossimi antenati dei fricchettoni cattivi - che vomitano da una parte all’altra degli USA. E dovrebbero essere fighi perché lo fanno coast to coast sulla route 66?!
12) Quello che hai lasciato a metà a malincuore? Il dottor Zivago di Boris Pasternak, ma tanto ho visto il film.
13) Quello con il miglior finale? Il profumo di Patrick Süskind.
14) Quello più divertente? Margherita dolcevita di Stefano Benni.
15) Quello più triste? Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij.
16) Quello più originale? I fiori blu di Raymond Queneau.
17) Quello che più ti estrania dalla realtà? In che senso?
18) Quello che avresti voluto scrivere tu? L’urlo e il furore di William Faulkner.
19) Tre libri che vorresti leggere in futuro. Nell’immediato futuro Se questo è un uomo di Primo Levi, poi un Montalbano qualunque e in un futuro prossimo (quando starò in pensione a coltivare gerani) i restanti sei libri de Alla ricerca del tempo perduto, perché per ora ho letto solo Un amore di Swann.
20) Tre autori che ti piacciono. James Joyce, George Orwell, Oscar Wilde. Ma visto che so’ tutti inglesi, dico anche Italo Calvino e il primo Baricco.
21) Tre personaggi letterari tra i tuoi preferiti. Rossella O’Hara, la Regina di cuori, Medardo di Terralba.
22) Tre libri che non avresti voluto leggere. Cfr. domanda n. 6 (Le cronache di Narnia, Cronache del mondo emerso, Trilogia dei Lungavista, Queste oscure materie).
23) Tre autori che non ti piacciono. Ancora, cfr. domande n. 6 e 22 (C. S. Lewis, Licia Troisi, Robin Hobb, Philip Pullman), ma anche Stephanie Meyer, di cui mi è bastato leggere le prime pagine di Eclipse (non mio, ovviamente) in un momento difficile mentre ero al bagno. E diciamo che ha funzionato. Infine, l’immancabile Moccia, per partito preso (non ho letto niente di suo, ma andrò ad intuito).
24) Tre personaggi letterari che detesti. Tra le ignobili saghe fantasy già citate, tutti i fratelli de Il leone, la strega e l’armadio, in cui li chiuderei volentieri mentre il leone li sbrana.
25) Il tuo racconto preferito? Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, se vale.
26) Il libro della tua infanzia? Un libro illustrato sulle favole Disney.
27) Il primo libro da adulto? Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo.
28) Un libro che hai comprato solo perché ti piaceva il titolo? Il seme inquieto di Anthony Burgess.
29) Un libro che hai comprato perché ti piaceva la copertina? Quel che il corpo ricorda di Shauna Singh Baldwin. Mi sono fatta infinocchiare da un paio di mani tatuate all’henné.
30) Classici o Moderni? Non si era capito che era classici?
31) Ottocento o Novecento? Novecento.
32) Il più bel film tratto da un libro? Pari merito per Arancia meccanica e Blade runner.
33) Il primo libro che ti viene in mente? Ubik di Philip Dick, perché lo voglio leggere, ma alla domanda n. 19 ne avevo detti più di tre.
34) Un libro che sei stato obbligato a leggere e non ti è piaciuto? Il sonno della ragione di Juan Aguilera.
35) Un libro che sei stato obbligato a leggere, ma ti è piaciuto? Rileggere: Il cavaliere inesistente di Italo Calvino. Leggere: Don Chisciotte della Mancia di Cervantes. (Non perdetevi le mie straordinarie recensioni qui e qui).
36) Il tuo genere preferito? Boh. Mi sembrava carino terminare le domande con uno slancio d’ingegno.

martedì 7 settembre 2010

Quella voglia di scarpe

“Scarpe, di merda, […] che costano, milioni […]
E pensare che tutto questo lo hanno deciso i ricchioni”

Non per contraddire Elio, ma le scarpe di merda non esistono più dagli anni ’90. Forse dai tempi dei mocassini di daino, che non portano più nemmeno gli studenti di matematica.
Oggi le scarpe che si vedono nei negozi sono tutte bellissime. Tutte che ci fanno sentire come quelle di Sex and the city, anche se intanto trasciniamo i piedi per casa con gli zoccoli del dottor Schulls invocando Dio affinché lanci la moda comoda (in una “valle verde”, infatti, ci camminano solo le pecore).
Sandali o stivali, ballerine o espadrillas, le scarpe sono la croce di tutte noi donne. E ancora, alte o basse, basse o alte, a noi donne piacciono tutte. Perché, sapete, la voglia di scarpe è un bisogno primordiale, un istinto atavico. E, comunque, è dai tempi di Cenerentola che sono un must. Ci sarà pure un motivo per cui i fratelli Grimm decisero che doveva perdere una scarpetta di cristallo (che poi era d’oro) e non un ventaglio per conquistare il principe, no?! E ci sarà pure un motivo per cui vogliamo sempre delle scarpe con un numero più piccolo, anche se ci serve il piede di porco per farcele entrare.
Come nel ballo delle debuttanti, l’introduzione di una donna in società viene giudicata dalle scarpe che indossa. Per questo, fin da piccole desideriamo le Lelli Kelly… siam Lelli Kelly le tue scarpine, oh yeah, siam Lelli Kelly le più carine, oh yeah… Perché sono rosa, sì, ma anche perché nel jingle c’è un messaggio subliminale che ci suggerisce: «Comprale per andare al mare, mica vorrai assomigliare a tua cugina con quegli orribili sandali da scoglio!».
Il problema è che ci piacciono quelle che fanno male solo a guardarle. Aborriamo le ballerine anti-sesso che, diciamocela tutta, non stanno bene nemmeno a Carlà.
Sì, insomma, i tacchi slanciano, fanno sembrare la gamba più lunga, rendono la camminata più sensuale, ma fanno pure venire le vesciche ai piedi. Personalmente scelgo la via del dolore perché, dalla mia statura da pigmeo basso, mi piace provare l’ebbrezza di superare il metro e sessanta, un’altezza dove l’acqua salata bolle prima per via della pressione, a cui quando salgo c’è uno sbalzo di temperatura tale da richiedere il golfino di lana. Sarà per questo che sento sempre freddo.
Eh sì, i tacchi ci piacciono troppo. E non importa se facciamo più fatica noi con un tacco 12 che Gesù Cristo quando portò a spalla la croce (lui al massimo c’aveva una scarpa alla schiava, che comunque ora vanno di moda). Per indossarli siamo disposte a fare magie. Infatti io vorrei essere una strega. Ma con le scarpe Manolo Blahnik! Magari blé.

lunedì 16 agosto 2010

Perché trenta è bello… solo se è con la lode

Se ormai ti chiamano signora
Se Somatoline è diventata la tua crema da giorno
Se il numero dei denari delle tue calze aumenta esponenzialmente con gli anni che passano
Se sei brillantemente laureata, con master a carico e per trovare lavoro sei dovuta andare a Londra e adesso fai la cameriera
Se prima eri trendy e ora sei vintage
Vuol dire che quest’anno hai fatto 30… ma l’anno prossimo 31!

Tanti auguri Titti!

Volevasi ringraziare Paoletto per la variante “se prima eri trendy e ora sei trenda”.

martedì 10 agosto 2010

Se sei brutto ti tirano le pietre

EL: Non è così brutta! Quando mi dicevate di lei, pareva la donna più brutta del mondo. Innanzitutto…
TI: Erano gli anni ’80…
FA: No, peggio, ’90!
TI: … che se te mettevi quelle cose fucsia sembravi un pallone!
FA: Beh, diciamo che c’ha bei lineamenti.
FE: Ma, veramente, io direi begli occhi.
FA: Più che altro la forma.
FE: E allora, se proprio dovemo dilla tutta, solo il colore.

venerdì 6 agosto 2010

Che la festa cominci

Scrittura sterile. 
Dialoghi amorosi alla stregua dei migliori Liala. 
Personaggi fastidiosi, in primis il protagonista, dongiovanni de’ noantri. 
Finale grottesco e surreale, il che andrebbe pure bene, se non avesse voluto scimmiottare Branchie, decisamente concepito con più estro.

lunedì 2 agosto 2010

L’opera e il primo chakra

Sabato sera io e Ciro siamo andati a vedere il Rigoletto alle Terme di Caracalla (mica pizza e fichi, ah!). Abbiamo pure scroccato il biglietto, gentilmente offertoci dagli zii di Ciro. In compenso, però, abbiamo pagato un’acqua e una lattina di Coca Cola (quelle sottili sottili) ben sette euro e cinquanta. Ora, visto che l’acqua (che volevo io, dato che avevo deciso quella sera stessa che avrei cominciato la cura “rinuncia zuccheri”) veniva due euro e mezzo, concludo che era la Coca Cola che-ti-fa-venire-le-lacrime-agli-occhi-non-per-le-bollicine-ma-per-il-prezzo di Ciro che costava ben cinque euri.
Comunque.
In ogni caso, bella trama, belle arie. Scenario suggestivo, cornice romantica, interpreti bravi. Insomma, Giuseppe Verdi era cazzuto. Ma, alla fine, è sempre la donna che schiatta.
Serata conclusa all’autogrill con cornetto grondante grasso alla marmellata (se si commettono peccati, è necessario farlo bene). E il mio proposito di non mangiare zuccheri è miseramente fallito. Tanto avevo pure mangiato il gelato.
Domenica, invece, siamo andati in piscina con La Principessa del Malawi e Brugnaman. Poiché non posso fare nomi, prenderò in prestito quelli de La lega dei supereroi (me lo concedi, Spocchiagirl, vero?). Questa è la conversazione alla quale ho assistito. Ah, per chi non li conoscesse, La Principessa del Malawi e Brugnaman sono solo leggerissimamente fissati con le pratiche alternative.

La Principessa del Malawi: Diglielo, amo, che m’hai detto stamattina!
Brugnaman: Che?
La Principessa del Malawi: Quello che m’hai detto stamattina!
Brugnaman: Che mi faceva male il primo chackra!
Ciro: E do’ sta sto primo chackra?!
Brugnaman: Nel culo! E tu non me lo fai il Reiki pe’ fammelo passa’!
Ciro: Te lo dico io come se fa’ a fa passa’ il primo chackra: toglite il portafoglio dalla tasca dei pantaloni quando guidi!

Il pragmatismo di Ciro è spiazzante. Per questo stiamo insieme.

mercoledì 28 luglio 2010

Dillo con parole mie

Questo “filmetto”, come lo chiamerebbe mia sorella (che evidentemente non è d’accordo con me sulla genialità del lungometraggio, lei che vede solo film giapponesi o coreani in cui gli attori non dicono una parola), è uno dei miei preferiti.
Non sarà profondo, non sarà giapponese, né (purtroppo) coreano, ma vorrei farvi - e farle - notare alcuni di coloro che hanno partecipato alla sua realizzazione: Daniele Lucchetti, già regista di Mio fratello è figlio unico e, più recentemente, de La nostra vita, con cui Elio Germano ha vinto il premio come miglior attore a Cannes; Ivan Cotroneo, sceneggiatore; Gianpaolo Morelli, Il Commissario Coliandro.

La protagonista è Stefania, 30enne piena di fissazioni tutte sue, delle quali personalmente ho fatto la mia filosofia di vita e che ho, in parte, raccontato in La cioccolata non fa ingrassare se la mangi senza senso di colpa. Galeotto - al contrario - fu quel film e chi strappò i biglietti al cinema Mignon, che la fece lasciare con Andrea, dopo ben otto anni. «Non si lascia una dopo otto anni! Mentre stavamo insieme il mondo è andato avanti, le coppie che si dovevano formare si sono formate, quelli carini sono diventati gay!»
Non solo, arriva sua nipote Megghy, che sfortunatamente per lei non è il diminutivo di Martina - il suo vero nome - , la quale ha deciso di passare le vacanze non più al solito campo scout, ma sull’“isola dell’amore” per perdere la verginità, come hanno fatto le sue compagne («Sì, se ci si butta lei dal ponte mi ci butto pure io, perché noi adolescenti vogliamo fare tutti la stessa cosa!»). Ed è qui che si farà portare dalla zia, ingannandola, dopo un viaggio, allietato dalla puzza di piedi, sul traghetto dei fricchettoni diretto a Ios, Cicladi, Grecia.
“Non a caso: il caso”, come recita la pellicola: sull’isola dell’amore c’è Andrea che Megghy crede Enea («Enea?! Che fico, al tema sull’Eneide c’ho preso sette!»), di cui si innamora.
Nasce così un dialogo a tre in cui la povera adolescente fa in realtà solo da tramite tra i due ex fidanzati, inconsapevoli di ciò che sta succedendo. Da una parte, lei che cerca di capire il tipo e di parlargli con parole sue - seppure con scarsi risultati («Stefi, ci sarai pure stata negli anni ’80, ma non c’hai capito un ca**o!») - , dall’altra lui che cucina la torta al cioccolato con l’ingrediente segreto («… che poi sono due: zenzero e cannella»).
Finale canterino sulle note di Mina, nel quale non posso che, mio malgrado, identificarmi (… se un uomo sa di fumo, ma sì, ma sì, è veramente un uomo…).

Ma tutto questo per sottolineare, oltre alle battute che già ho citato (tra le più esilaranti che l’odierno cinema italiano abbia proposto, a parer mio), alcuni elementi davvero significativi. Sono convinta che molte ragazze saranno d’accordo con me.
Innanzi tutto, c’è quello che tutte le donne vorrebbero fosse vero:
«Il cioccolato non fa mica ingrassare! […] No, anzi, fa proprio dimagrire, perché ti dà energia. Più energia hai più ti metti in moto, più ti metti in moto, più dimagrisci.»
Inoltre:
«Le fotografie cambiano perché, appena fatte, non ti piaci mai. Dopo qualche mese, invece, la tragedia è che non sei più così!»
Poi c’è quello che tutte noi diciamo al nostro fidanzato:
«Nel tuo vocabolario esistono solo verbi passivi!»
E, infine, la battuta che, più di tutte, mi rappresenta:
«Mi sono vista dall’esterno e mi sono data pure un titolo: la stronza!»

mercoledì 14 luglio 2010

Il catino di zinco

1-1, palla al centro per la Mazzantini, di cui avevo letto solo il tanto osannato Non ti muovere, che di Premio Strega c’ha, per me, tanto quanto le orecchie di Carlo d’Inghilterra c’hanno di quelle di un elefante… cioè, sì, sono grosse, ma insomma… Invece questo “catino di zinco” non mi è per niente dispiaciuto.
Alcuni elementi degni di nota.
Prima cosa: il titolo, evocativo, oltre che delle abitudini della protagonista, anche di una delle tante condizioni alle quali malvolentieri è costretta una donna.
Seconda: il linguaggio. Solenne e semplice, in equilibrio. A tratti grottesco, a volte anche scurrile. E poi un uso quasi spregiudicato delle parole che richiamano la quotidianità, spesso inventate, il che mi ha particolarmente stupito.
I personaggi, inoltre, non vengono presentati coi loro nomi, ma pressoché connotati solo da aggettivi, con cui compaiono per tutto il libro, quasi senza essere nominati, come del resto accade anche per la protagonista.
Non è sentimentale, anzi la crudeltà di chi è costretto ad accudire un malato, come in questo caso deve fare la nipote con la nonna, non viene edulcorata, ma descritta senza inutili giri di parole.
Infine, alcuni passaggi raccontati con un bel monologo interiore, diverso nello stile da quelli più conosciuti.
Dovrò forse ricredermi sulla scrittrice-attrice?

mercoledì 7 luglio 2010

Momenti di romanticismo

Chiara: «Perché c’è un nido nella tua libreria?!»
Ciro: «Così… perché è romantico, bello, è il simbolo della famiglia…»
Chiara: «Ma è un ricettacolo di polvere!»
Ciro: «Sei un mostro!»

mercoledì 26 maggio 2010

Il cavaliere inesistente

Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez. Tanti nomi perché non ne possiede veramente nessuno. Infatti è un cavaliere inesistente, tenuto insieme solo dalla forza di volontà che, per una sfortunata serie di incidenti, si ritrova come scudiero Gurdulù. Un gioco del destino. Infatti se, da una parte, abbiamo Agilulfo che è ma non c’è, dall’altra abbiamo Gurdulù che non sa di essere ma c’è, incosciente perché confuso con ciò che lo circonda.
Essere o apparire? Questo è il dilemma. Oggi come oggi potremmo rispondere: «La secònda che hai detto!» E in molti casi non andremmo tanto lontani dalla verità.

Comunque, tanto per sdrammatizzare un po’ questo post… pedante, preciso, ordinato, critico, razionale, maniaco della perfezione… mmm… io credo che se Agilulfo fosse vissuto nel nostro secolo sarebbe stato un ingegnere!

lunedì 17 maggio 2010

Don Chisciotte della Mancia


In un borgo della Mancia viveva un gentiluomo spagnolo di nome Alonso Quijano, la cui età rasentava i cinquant’anni, che si assorbì tanto nella lettura di romanzi cavallereschi, “le notti, dal principio alla fine, e i giorni, dalla mattina alla sera”, che perse il senno. Sellato il suo ronzino, ch’egli trovava “non potesse reggerne il confronto neanche il Bucefalo di Alessandro” Magno seppur pieno di acciacchi cui diede il nome di Ronzinante ovvero “primo fra tutti i ronzini del mondo”, partì in cerca di avventure credendosi un nobile cavaliere errante. “Dato il nome, e un nome tanto di suo gusto, al cavallo, volle darsene uno anche lui”, così optò per don Chisciotte della Mancia, che gli sembrava “rivelasse chiaramente il suo lignaggio e la sua patria”.
Poi si pose l’annoso problema della dama di cui innamorarsi, poiché “un cavaliere errante senza amore è come un albero senza foglie né frutti”, così scelse Aldonza Lorenzo, una contadina, che cambiò in un altisonante Dulcinea del Toboso.
Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti e, come gli eroi dei romanzi, porta con sé uno scudiero in sella al suo asinello, Sancho Panza, a cui promette il governo di unisola in cambio dei suoi servigi.
E così, dopo essersi fatto armare cavaliere da un oste (che lui crede castellano), accompagnato nella cerimonia da due sgualdrine (che lui crede due avvenenti donzelle), comincia l’avventura di colui che diventerà “Il Cavaliere dalla Trista Figura”, in seguito a tutte le sconfitte subite e alle botte prese. I suoi nemici, infatti, sono tutte immagini della sua fantasia cavalleresca: mulini a vento, che crede giganti dalle braccia rotanti; greggi di pecore e montoni, che prende per eserciti nemici; barbieri che portano in testa catinelle di rame, scambiate per elmi di Mambrino.
Neanche nella seconda parte della sua avventura il nostro protagonista se la caverà meglio poiché non troverà gloria sul suo cammino, ma solo teatranti che gli tireranno le pietre, leoni che gli mostreranno il deretano e duchesse che lo inganneranno per divertimento. E se don Chisciotte verrà così amaramente maltrattato, il povero Sancho non se la caverà poi tanto meglio perché otterrà, sì, il governo della tanto agognata isola che poi isola non sarà ma preferirà tornare alla sofferenza della vita da scudiero che perire la fame.
Comico e tragico, Don Chisciotte della Mancia vuole raccontarci la realtà deformata di una folle mente cortese, che, inizialmente fuori di senno, vedrà poco a poco vacillare la sua certezza cavalleresca, alimentata solo dalla sua pazzia, al punto tale da chiedersi: chi è davvero l’ingannato: l’eroe di questa storia o il lettore di questo racconto?

martedì 11 maggio 2010

Babbo bastardo

Se odiate l’improvvisa voglia di tenerezza che pervade l’animo di tutti coloro che vedono approssimarsi il Natale, disprezzate quell’atmosfera da Casa nella prateria che impregna anche le menti più crudeli e desiderereste radere al suolo il campo di dorate spighe di grano che circonda la casa del Mulino Bianco, allora forse vi piacerà l’esplicita cattiveria di questo irriverente Santa Claus. Ubriacone, sboccato e che avrebbe preso a schiaffi il bambino di Quattro salti in padella se solo avesse osato dire: «Peccato, tutto petto!», anno dopo anno, ogni festività natalizia, rapina, insieme al suo complice - un nano nero che indossa punte di orecchie da elfo bianco - i centri commerciali in cui è costretto a lavorare ascoltando le richieste di dono degli odiosi marmocchi tenendoli sulle sue ginocchia.
A conquistare il falso Babbo Natale non sarà, però, una romantica freccia, bensì un cetriolo scolpito da un bambino ciccione.
L’happy end c’è, ma non è del tutto happy. D’altra parte, “Shit happens when you party naked”, ossia “È inevitabile che succedano casini se vai alla festa nudo”… lo scoprirete solo guardandolo. Alla faccia di chi dice che sono una spoiler!
Inutile dire che mi è piaciuto.

giovedì 6 maggio 2010

Adotta un gatto

Teneri come Hello Kitty, paffuti (e meno) come Isidoro, vivaci come Grattachecca, pigri come Garfield, questi piccoli batuffoli acchiappa topi aspettano solo te… adottane uno! Derattizzerai casa tua e contribuirai a non far diventare la mia come quella degli Aristogatti!
Poiché volevamo (plurale maiestatis) stupirvi con effetti speciali, abbiamo addirittura richiesto... e ottenuto... il lavoro di uno dei grafici migliori che ci siano oggi in circolazione (che naturalmente è Ciro!).

lunedì 3 maggio 2010

Caterina va in città

Caterina, insieme alla sua famiglia, si trasferisce dal paesello alla grande metropoli, tra lo sgomento dei suoi parenti e i rimbrotti di Cesarino che dice che, sì, Roma è «una città molto valida dal punto di vista storico, ma troppo dispersiva e piena di str**zi».
Con un padre meschino, insoddisfatto del proprio lavoro, fallito nelle sue ambizioni letterarie e una madre più che sempliciotta, non c’è da stupirsi che la povera Caterina si vergogni di dire ai cosmopoliti compagni il nome del suo borgo di provincia, Montalto di Castro («Nord, nord ovest… tipo costa tirrenica», che un suo compagno non esita a commentare con l’esilarante battuta «Le freshche frashche»), dove le sole teste rasate sono «i miei cuginetti quando hanno preso i pidocchi alla scuola materna» e in cui l’unico centro sociale è Il Trombolone, frequentato da un «gruppo di pensionati simpaticissimi che organizzano tornei a scopone».
Tra comunisti e fascisti in miniatura, l’unica “non classificata” è proprio Caterina che, dopo un breve idillio con Margherita la zecca - quella che va in giro e fa cose, figlia di un famoso scrittore -, comincia a frequentare Daniela la pariola - quella che canta Faccetta nera, figlia di un uomo politico -, fino a che non la sentirà criticare il proprio abbigliamento («Sembra un’extracomunitaria») e il proprio padre.
Schifata dai cittadini e, dopo essere diventata cittadina, anche dai paesani («…come tutti quelli di Roma che si credono ‘sta ceppa solo perché stanno nella capitale e hanno due squadre in serie A!»), si consola ballando da sola mentre ascolta l’opera.
Amaramente il film si conclude con un caloroso abbraccio fra l'intellettuale di sinistra e il politico di destra perché, si sa, gli estremi, come in un cerchio, si rincontrano.

I ruoli sociali dei genitori delle compagne di scuola di Caterina, agli antipodi, possono facilmente essere traslati in quelli delle loro figlie, infatti i rapporti in aula, che rappresenta la società in piccolo, sono meri giochi di potere, ad emulazione di quelli dei propri cari che, se da una parte ricoprono cariche intellettuali e politiche al più alto grado, non riescono dall’altra a gestire la propria vita.
Una commedia amara che testimonia lo smarrimento degli adolescenti (ma anche no) alla ricerca della propria identità, ma anche il decadimento della società di oggi, divisa tra idee nettamente contrapposte e che gridano a gran voce di esserlo, che però alla fine inseguono l’unico, comune, scopo di affermare la propria superiorità. 
Il tutto raccontato piuttosto cinicamente e di certo non attenuato dal lieto fine in cui la protagonista, estranea a tutto ciò che la circonda, topo di campagna perduto nella vastità della metropoli, corona il sogno della sua vita.

lunedì 26 aprile 2010

Mia sorella: una Barbie con le Puma

Mia sorella è un’artista. E come tutti gli artisti, soffre di estrosità.
In realtà, frequenta la facoltà di Architettura, ma è più un hobby che un impegno fisso. Diciamo che quando si laureerà, almeno la metà della fatica l’avremo fatta noi. L’intera famiglia, intendo. Anche allargata, direi. Il merito dei plastici, poi, è tutto nostro.
Sì, perché ad Architettura, che non hanno niente di meglio da fare e io lo posso dire, visto che sono un ingegnere , perdono tempo a fare ‘sti plastici, che sarebbero modellini in scala del progetto che presenteranno all’esame, tipo quelli di Bruno Vespa, ma senza il morto.
La prima volta che ne fece uno, e sfortunatamente anche tutte le volte successive, collaborammo tutti. C’era chi tagliava pezzi da una parte e chi li montava dall’altra, chi faceva i conti, chi pitturava la base con le bombolette spray e persino chi tentava di arricchire il tutto con abbellimenti impossibili, tipo spugne che magicamente diventavano alberelli, stuzzicadenti per scale, pellicole trasparenti per vetri, ecc. ecc. Casa nostra assumeva un nuovo volto: quello del caos. Diventava, perciò, come la zona industriale di una città, sporca e piena di monnezza. Per la gioia di mia madre. Chiaramente mia sorella passava nottate intere a cercare di finire tutto in tempo, perché lei, come tutti gli architetti, fa sempre le cose all’ultimo momento.
Finito il plastico, l’avventura non era ancora terminata perché si poneva sempre il problema di come trasportarlo. Ora, questi plastici dovrebbero essere in scala, ma naturalmente tutto dipende da che scala. Normalmente le dimensioni di un plastico di uno studente di Architettura sono tali per cui il genitore, per aiutare il figlio a raggiungere illeso l’università, deve possedere un SUV.
A parte il dilettevole svago rappresentato dallo studio, le passioni di mia sorella si rivolgono alla musica, alla cucina, al disegno. E al bello in generale. Deformazione professionale? Forse. A questo proposito gioverebbe, però, se le cose che progettasse fossero pure un minimo utili a parlare è sempre il mio spirito pragmatico .
Comunque, mia sorella è proprio fashion nell’animo. Seraficamente guarda dall’alto il resto di noi mortali e dispensa, specialmente a me, i suoi consigli di moda che sono rivolti, un tempo più che adesso, al mio abbigliamento. «Non me lo metterei nemmeno sotto tortura», disse una volta in riferimento a un mio vestito fricchettone (eh, sì… ero fricchettona prima di scoprire Gucci). E così, mentre io sembro ancora uno dei Jackson 5, lei è come una Barbie con le Puma, piccola e stilosa.

sabato 17 aprile 2010

Torna a casa, Antonella!

Vabbe, lo so che è una trasmissione da casalinghe (senzoffesa, cheppalle, il termine “casalinghe” viene usato solo come stereotipo). Ché io, in quanto boriosa laureata che finge di essere un’impegnata lettrice di libri di qualità non dovrei nemmeno vedere La prova del cuoco perché superficiale, inconsistente, bla bla bla… Ed è pure vero che l’età media del cast è pari a quella dei degenti in un reparto ospedaliero di urologia, che si cantano con veemenza le canzoncine dello Zecchino d’Oro, che ci si chiede spesso come facciano i sommelier a trovare bouquet di fiori dappertutto, che l’inquietante presenza di Branco ottunde la mente di chi lo sta ascoltando. Ok, ma a me piace più di qualunque altra trasmissione televisiva, più degli evergreen come Quark, più di Per un pugno di libri, Annozero, Ballarò, Parla con me, Geo&Geo… insomma, più di tutte le altre. E naturalmente, come fan accanita, adoro l’Antonellona nazionale, che ho saputo tornerà presto ad allietare le nostre ormai magre giornate.
Ci hanno ingannato dicendoci che sarebbe rientrata dopo il parto e invece siamo restate a bocca asciutta come quando al bar vuoi il saccottino al cioccolato ed è rimasto solo il cornetto integrale. E ci siamo ritrovate con la Isoardi, usurpatrice del regno del fornello, che, è vero, in quanto a ciccia non scherza neppure lei, ma non eguaglierà mai la nostra amica pettoruta, la nostra conduttrice burrosa preferita, flagello della magrezza, nemica del ventre piatto, prosperosa sostenitrice dell’adiposità localizzata che era Antonella Clerici.
Con lei ho imparato quanto ci vuole a cuocere i broccoletti e cos’è un lecca pentola, con lei ho pianto tagliando la cipolla, con lei ho scoperto che le puntarelle in italiano si chiamano catalogna e come si fa a non far impazzire la maionese… insomma ho imparato tutta la teoria culinaria che la mia mente matematica ha saputo assimilare. Certo, sono ancora lontana dalla pratica, infatti mia sorella quando cuciniamo mi dice sempre (e solo) di imburrare la teglia, ma io non desisto.
Antonella, torna presto! Sono sicura che tu, come me, credi che se è possibile far parlare Vissani senza sottotitoli è anche possibile far tornare il povero Bigazzi anche se ci ha propinato la ricetta del gatto in salmì!

martedì 13 aprile 2010

Alice in Wonderland

Non è sicuramente il libro scritto da Lewis Carroll. Non è neanche il capolavoro d’animazione che la Disney seppe trarre dal racconto. In quest’ottica, posso dire che è un film che mi è piaciuto, ma non mi ha certamente entusiasmato.
Rifare il classico più classico dei classici avrebbe di certo spiazzato qualunque sceneggiatore o regista o direttore artistico. Ma non avrebbe dovuto far tremare di paura Tim Burton. Che infatti, in maniera intelligente, ha scelto di narrare una storia nuova con gli stessi (azzeccatissimi) personaggi. Il problema è la trama. Derivarla dalla poesia del Ciciarampa che compare in Attraverso lo specchio è geniale, ma mi è sembrata oltremodo semplice. Né carne né pesce. Né Disney né Burton. Soprattutto l’idea di inserire l’Oraculum, il “compendio calendrico di Sottomondo”, è stata davvero infelice, perché svela il finale del film nei primi 10 minuti.
Nonostante ciò, ci sono molti aspetti pregevoli. Primo su tutti: i costumi che, come al solito, fanno sognare. Il cupo Sottomodo e la sua atmosfera gotica. I personaggi: Pinco Panco e Panco Pinco, che ognuno di noi vorrebbe a casa propria; il Brucaliffo, immerso nell’immancabile nuvola di fumo; lo Stregatto, bellissimo (ma poco convincente). Anche questa volta è il cattivo ad essere il più interessate: la capocciona e per questo complessata Regina Rossa che, coi suoi capelli alla Ornella Vanoni, non mi ha (quasi) fatto rimpiangere quella di Cuori disneyana e il suo «Tagliategli la testa!».
Degna di nota l’originale idea dei cortigiani della stessa Regina che, per farsi accettare da lei, camuffano il loro aspetto arricchendolo di difetti fisici simili al suo.
Carina anche quella di riprendere le caratteristiche dei personaggi del Paese delle Meraviglie dell’Alice bambina traslandole in quelli della sua vita reale da adulta (usata, però, già in una vecchia versione cinematografica del romanzo – quella, per capirci, dove Whoopy Goldberg faceva il Gatto del Cheshire).
Una nota stonata è rappresentata, secondo me, dalla svampita e poco alla moda Regina Bianca. Mia cara, che direbbe Miranda Priestly se ti vedesse con quelle sopracciglione nere e i capelli bianchi?!
Alice è una gattamorta e si cambia d’abito troppo spesso. Credeva forse di essere ad una sfilata di Dolce e Gabbana?
Pollice verso anche per Johnny Depp, eco, sempre più spesso, dei suoi personaggi, che conclude la sua interpretazione con un’imbarazzante balletto.
Detto questo, il finale fantasy io lo avrei sostituito con uno meno conformista. Perché tornare da un fidanzato con evidenti problemi di digestione, un lord che guarda nel fazzoletto in cui si è soffiato il naso, quando Alice avrebbe potuto decidere di andare a convivere a Sottomondo con quel gran figo del Cappellaio Matto?

martedì 6 aprile 2010

Il barone rampante

In un’immaginaria Ombrosa, cittadina ligure gremita di boschi nata dalla visionaria mente di Italo Calvino, Cosimo Piovasco, Barone di Rondò, figlio di Arminio e di Corradina la Generalessa - che ricamava pizzi raffiguranti mappe geografiche per “sfogare la sua passione guerriera”, punteggiati “di spilli e bandierine, segnando i piani di battaglia delle Guerre di Successione” - per via di un piatto di lumache preparate secondo la più macabra cucina di sua sorella Battista, monaca di casa, si arrampica su un albero e passa l’intera sua esistenza senza mai più mettere piede a terra.
Mentre il lettore si chiede attonito come possa un uomo, per di più ricco, scegliere di spendere il suo tempo in un luogo tanto poco confortevole e come un autore riesca a scrivere un intero romanzo raccontando una tale assurda storia, Cosimo impara a cacciare, continua i suoi studi, combatte contro i pirati, partecipa alla vita del suo paese, si innamora di Viola D’Ondariva, diventa un letterato e un eroe.
Non solo, durante il suo esilio volontario, col suo berretto di pelo di gatto e accompagnato dal bassotto Ottimo Massimo, vive, senza mai scendere dalla sua dimora arborea, mirabolanti avventure che gli faranno incontrare Gian dei Brughi, il brigante più temuto della riviera, Ursula, appartenente alla comunità di esiliati spagnoli che vivono anche loro sugli alberi ad Olivabassa e nientemeno che Napoleone.
Il suo allontanamento dal mondo terrestre, nel senso più stretto del termine, partito come un gioco, diventerà per Cosimo una vera e propria presa di posizione, nonché un modo di vivere in cui crederà sempre di più, che lo porterà a scrivere prima Il Monitore dei Bipedi e poi, riveduta e attenuata la sua posizione, Il Vertebrato Ragionevole.
Per mezzo di una fiaba, narrata in un modo che fa sempre pensare, l'autore ci parla della bellezza degli ideali, della forza di una convinzione.
Rileggendo Calvino dopo molti anni che non lo facevo l’ho apprezzato più di quanto avessi fatto in passato, specie in questa bellissima trilogia de I nostri antenati.
Chissà che mi riserverà Il Cavaliere Inesistente!

venerdì 2 aprile 2010

The Imaginarium of Parnassus

«Il mondo in cui viviamo è pieno di magia per coloro che sono in grado di vederla»

Sicuramente visionario, The Imaginarium of Parnassus è, secondo me, pieno di riferimenti. Naturalmente quelli che ho potuto vedere io.
Il film racconta la vita di un uomo, il dottor Parnassus, che, dopo aver stretto un patto col Diavolo per ottenere l’immortalità, cambia drammaticamente idea (per conquistare una donna, pensate un po’) e chiede invece la mortalità: un po’ Faust, un po’ Dorian Gray al contrario. Il prezzo di quest’ultima sarà l’anima di sua figlia, Valentina, che, all’età di soli 16 anni, sarà costretta a cederla al Diavolo, il quale, tra parentesi, ricorda quello de Il Maestro e Margherita.
Nel frattempo Parnassus viaggia per Londra con una compagnia teatrale itinerante, The Imaginarium, un immenso carrozzone che mi ha fatto pensare a Il castello errante di Howl. Lo spettacolo che offre al pubblico coinvolge uno specchio magico, simile a quello di Alice in Attraverso lo specchio, entrando nel quale si entra in un mondo parallelo e fantastico.
Ora: ci sono varie interpretazioni che si possono dare all’atteggiamento del dottor Parnassus. Secondo me vuole guidare la mente del suo pubblico al fine di fargli raggiungere la consapevolezza, nel bene o nel male. (A sostegno di questa mia convinzione, cito un passaggio del film: «Se può controllare la mente delle persone perché non governa il mondo?», «Non vuole governare il mondo, vuole che il mondo si governi da sé»). Infatti, in una delle prime scene, un ubriacone entra nello specchio e si trova davanti ad una specie di universo dantesco in cui, da una parte, c’è la salvezza e, dall’altra, molto più semplicemente, un bar. È evidente il riferimento al contrappasso quando lui sceglie il bar, che però esploderà, a significare la sua pena eterna.
Alla compagnia intanto si unisce il giovane Tony, un delinquente che aiuta Parnassus nella ricerca delle anime.
E, ancora, una nuova scommessa fra il Diavolo e Parnassus: il primo dei due che riuscirà a sedurre cinque anime avrà quella di Valentina. Il Diavolo vince, inaspettatamente, proprio grazie a Valentina che decide di passare dalla sua parte, ma le scommesse non sono ancora finite perché il Diavolo, adducendo la scusa che Valentina fosse il premio di quella precedente e che non potesse pertanto prendere parte al gioco, proporrà a Parnassus l’ennesima sfida: uccidere Tony. Nel frattempo quest’ultimo aveva svelato la sua vera identità di criminale e aveva scoperto come coronare i suoi sogni attraverso lo specchio. Ho pensato che l’idea di far cambiare il volto di Tony quando attraversava lo specchio fosse geniale… poi ho scoperto che l’attore era morto e che si doveva rimpiazzare. Comunque io la parte finale l’avrei fatta fare a Johnny Depp e non a Colin Farrel… sempre meglio di Jude Law!
Ma perché il Diavolo vuole una cosa giusta, ossia uccidere un individuo abbietto che era stato disposto a vendere gli organi di bambini innocenti pur di arricchirsi? Beh, forse perché il male assoluto non esiste (né il bene assoluto). Forse è questo che il regista sta cercando di dirci.
Alla fine Parnassus riuscirà ad uccidere Tony. Non riavrà però la sua Valentina come l’aveva lasciata, e sarà costretto a cercarla. La troverà, ma, vedendola felicemente accasata, deciderà di non rientrare nella sua vita.
Insomma, un film con una morale, non svelata, forse, ma presente.

mercoledì 31 marzo 2010

L’altro mondo

Ho viaggiato in treno con Anna Karenina e sulla scopa con Harry Potter.
Ho vissuto la passione di Catherine e Heathcliff a Wuthering Heights.
Ho camminato per le strade di Dublino con Leopold Bloom.
Mi sono accorta di avere il naso storto con Vitangelo Moscarda.
Ho fatto un patto col demonio per rimanere giovane quando ero Dorian Gray.
Ho letto Aristotele con Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk.
Ho bruciato i libri coi Militi del Fuoco.
Ho sofferto la fame con Rossella O’Hara.
Ho sconfitto il Signore degli Anelli.
Ho visto il sorriso di un gatto che non c’è nel Paese delle Meraviglie.
Ho vissuto in Eurasia sotto gli occhi del Grande Fratello.
Ho rubato e sono stata condannata insieme a Jean Valjean.
Ho sentito il fetore del quartiere di Parigi dove è nato Jean-Baptiste Grenouille.
Ho ballato con Esmeralda alla Corte dei Miracoli.
Ho patito il castigo di Raskol'nikov.
Ho viaggiato nel tempo con il Duca d’Auge.
Ho cacciato gli androidi insieme a Rick Deckard e mi sono chiesta con lui se fosse giusto uccidere un essere che si sente vivo.
Ho visto sfasciarsi la famiglia Compson.
Ho campeggiato a La Delfina Bizantina di Anastasia insieme alla signorina Scontrino, Amilcara e Paquito.
Ho assistito al rogo in cui Peter Kien si è lasciato bruciare insieme ai suoi libri.
Mi sono innamorata di Lolita.
Sono stata imbrogliata dal Gatto e la Volpe e sono finita nella pancia del pescecane.
Ho scacciato gli uomini insieme agli animali della fattoria.
Ho alloggiato alla Locanda Almayer.
Ho ricevuto una lettera da Q.
E ho disegnato una pecora per il Piccolo Principe.

giovedì 25 marzo 2010

Il beauty case della Principessa del Malawi – Peonie for ever

Se la tua bellezza è apprezzabile solo quando cala il sole
Se i tuoi brufoli sono talmente tanti da farti somigliare al drago a palle di Maga Magò
Se il tuo stile ricalca ancora quello dei ragazzi di Beverly Hills 90210 o, peggio, quello di uno studente di fisica del vecchio ordinamento
Se il tuo gatto è meno peloso di te
Se la tua zona T è più lucida dell’argenteria di tua nonna
Insomma, se tutti dicono che sei simpatica, ma avresti bisogno di un restauro, ascolta i consigli glitterati della Principessa del Malawi, la madre del ritocco, la makeuppara del terzo mondo, dispensatrice di preziosi suggerimenti modaioli.
Poiché essere belli dentro aiuterà pure nell’aldilà, ma nell’aldiquà mica tanto.


A lei la parola.


Peoniae for ever
Hanno un tocco esotico e sono fantasticamente rosa shocking!
Il nuovo "must" della primavera/estate 2010 sono loro: le peonie.
Per un look assolutamente "inn", sposale con i colori dei fondali marini oppure con qualche anemone.

 
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