mercoledì 17 novembre 2010

Il cimitero di Praga

Come sempre, parlare dei romanzi di Umberto Eco è cosa tutt’altro che facile. Nondimeno, mi cimenterò nell’impresa. Ai posteri l’ardua sentenza.

Dalla penna dello stesso autore, già padre de Il nome della rosa, nasce quest’anno Il cimitero di Praga. Se col primo Eco era riuscito a riabilitare agli occhi della letteratura il romanzo giallo (se solo di giallo si può parlare), da sempre considerato di second’ordine, costruendo un impianto culturale che rendeva impossibile confinarlo in un genere narrativo, con questo adotta la stessa, e sempre vincente, tecnica.
Con un banale espediente, infatti, il Narratore (come lo chiama lui) si finge ignaro dell’identità del protagonista e la scopre insieme a noi lettori ripercorrendo la sua vita, che si intreccia saldamente alla storia d’Italia e a quella d’Europa in un crescendo di intrighi, messe nere, cospirazioni. Tutto ruota attorno ad un misterioso manoscritto ambientato nel cimitero di Praga, redatto allo scopo di screditare il popolo ebreo.
Sicuramente un libro complesso, perché complessa è la sua trama. Troppi nomi, troppi fatti da ricordare.
Nonostante ciò, non posso certo condividere l’opinione riportata su L’Osservatore romano da Lucetta Scaraffia che afferma che il romanzo “è noioso, farraginoso, di difficilissima lettura. Perfino per una persona come me, che forse capisce i suoi riferimenti storici”. Modestia a parte, cara Lucetta, credo che anche Eco, dall’alto delle sue molteplici lauree e che pure si muove a suo agio tra gli eventi narrati – di cui è profondo conoscitore –, abbia dovuto fare un bel po’ di fatica per destreggiarsi fra tutti quei complotti. Addirittura, Lucetta, come un paladino in groppa al suo cavallo bianco, ma in odore di santità, arrivi ad affermare che “c’è un solo commento che dà un po’ di spessore storico all’ostilità ottocentesca della Chiesa verso gli ebrei”. Naturalmente capisco che tu debba difendere chi ti dà da mangiare. Continui poi dicendo – perché lo dici, anche se con un ben congegnato gioco di parole – che il lettore potrebbe chiedersi se davvero l’ebreo sia il ricovero di ogni male. E che vorresti farci credere? Che in realtà Eco è un gretto antisemita?! Ma per favore! Mi stupisce che qualcuno della tua levatura non arrivi a capire che l’autore mette in bocca parole, ed in testa idee, ad un protagonista non solo abbietto e crapulone, ma anche a chi odia indiscriminatamente e che, soprattutto, odia chi non conosce. Ma vabbè, il mondo è bello perché è vario e perché ognuno è libero di pensarla come più gli aggrada.
A proposito, Lucetta, io c’ho messo pochi giorni a leggerlo e, diversamente da te, forse non capisco i riferimenti storici. Esercizio di stile? Sì, ma che stile! Per fortuna, qualcuno se lo può ancora permettere.

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