lunedì 26 aprile 2010

Mia sorella: una Barbie con le Puma

Mia sorella è un’artista. E come tutti gli artisti, soffre di estrosità.
In realtà, frequenta la facoltà di Architettura, ma è più un hobby che un impegno fisso. Diciamo che quando si laureerà, almeno la metà della fatica l’avremo fatta noi. L’intera famiglia, intendo. Anche allargata, direi. Il merito dei plastici, poi, è tutto nostro.
Sì, perché ad Architettura, che non hanno niente di meglio da fare e io lo posso dire, visto che sono un ingegnere , perdono tempo a fare ‘sti plastici, che sarebbero modellini in scala del progetto che presenteranno all’esame, tipo quelli di Bruno Vespa, ma senza il morto.
La prima volta che ne fece uno, e sfortunatamente anche tutte le volte successive, collaborammo tutti. C’era chi tagliava pezzi da una parte e chi li montava dall’altra, chi faceva i conti, chi pitturava la base con le bombolette spray e persino chi tentava di arricchire il tutto con abbellimenti impossibili, tipo spugne che magicamente diventavano alberelli, stuzzicadenti per scale, pellicole trasparenti per vetri, ecc. ecc. Casa nostra assumeva un nuovo volto: quello del caos. Diventava, perciò, come la zona industriale di una città, sporca e piena di monnezza. Per la gioia di mia madre. Chiaramente mia sorella passava nottate intere a cercare di finire tutto in tempo, perché lei, come tutti gli architetti, fa sempre le cose all’ultimo momento.
Finito il plastico, l’avventura non era ancora terminata perché si poneva sempre il problema di come trasportarlo. Ora, questi plastici dovrebbero essere in scala, ma naturalmente tutto dipende da che scala. Normalmente le dimensioni di un plastico di uno studente di Architettura sono tali per cui il genitore, per aiutare il figlio a raggiungere illeso l’università, deve possedere un SUV.
A parte il dilettevole svago rappresentato dallo studio, le passioni di mia sorella si rivolgono alla musica, alla cucina, al disegno. E al bello in generale. Deformazione professionale? Forse. A questo proposito gioverebbe, però, se le cose che progettasse fossero pure un minimo utili a parlare è sempre il mio spirito pragmatico .
Comunque, mia sorella è proprio fashion nell’animo. Seraficamente guarda dall’alto il resto di noi mortali e dispensa, specialmente a me, i suoi consigli di moda che sono rivolti, un tempo più che adesso, al mio abbigliamento. «Non me lo metterei nemmeno sotto tortura», disse una volta in riferimento a un mio vestito fricchettone (eh, sì… ero fricchettona prima di scoprire Gucci). E così, mentre io sembro ancora uno dei Jackson 5, lei è come una Barbie con le Puma, piccola e stilosa.

sabato 17 aprile 2010

Torna a casa, Antonella!

Vabbe, lo so che è una trasmissione da casalinghe (senzoffesa, cheppalle, il termine “casalinghe” viene usato solo come stereotipo). Ché io, in quanto boriosa laureata che finge di essere un’impegnata lettrice di libri di qualità non dovrei nemmeno vedere La prova del cuoco perché superficiale, inconsistente, bla bla bla… Ed è pure vero che l’età media del cast è pari a quella dei degenti in un reparto ospedaliero di urologia, che si cantano con veemenza le canzoncine dello Zecchino d’Oro, che ci si chiede spesso come facciano i sommelier a trovare bouquet di fiori dappertutto, che l’inquietante presenza di Branco ottunde la mente di chi lo sta ascoltando. Ok, ma a me piace più di qualunque altra trasmissione televisiva, più degli evergreen come Quark, più di Per un pugno di libri, Annozero, Ballarò, Parla con me, Geo&Geo… insomma, più di tutte le altre. E naturalmente, come fan accanita, adoro l’Antonellona nazionale, che ho saputo tornerà presto ad allietare le nostre ormai magre giornate.
Ci hanno ingannato dicendoci che sarebbe rientrata dopo il parto e invece siamo restate a bocca asciutta come quando al bar vuoi il saccottino al cioccolato ed è rimasto solo il cornetto integrale. E ci siamo ritrovate con la Isoardi, usurpatrice del regno del fornello, che, è vero, in quanto a ciccia non scherza neppure lei, ma non eguaglierà mai la nostra amica pettoruta, la nostra conduttrice burrosa preferita, flagello della magrezza, nemica del ventre piatto, prosperosa sostenitrice dell’adiposità localizzata che era Antonella Clerici.
Con lei ho imparato quanto ci vuole a cuocere i broccoletti e cos’è un lecca pentola, con lei ho pianto tagliando la cipolla, con lei ho scoperto che le puntarelle in italiano si chiamano catalogna e come si fa a non far impazzire la maionese… insomma ho imparato tutta la teoria culinaria che la mia mente matematica ha saputo assimilare. Certo, sono ancora lontana dalla pratica, infatti mia sorella quando cuciniamo mi dice sempre (e solo) di imburrare la teglia, ma io non desisto.
Antonella, torna presto! Sono sicura che tu, come me, credi che se è possibile far parlare Vissani senza sottotitoli è anche possibile far tornare il povero Bigazzi anche se ci ha propinato la ricetta del gatto in salmì!

martedì 13 aprile 2010

Alice in Wonderland

Non è sicuramente il libro scritto da Lewis Carroll. Non è neanche il capolavoro d’animazione che la Disney seppe trarre dal racconto. In quest’ottica, posso dire che è un film che mi è piaciuto, ma non mi ha certamente entusiasmato.
Rifare il classico più classico dei classici avrebbe di certo spiazzato qualunque sceneggiatore o regista o direttore artistico. Ma non avrebbe dovuto far tremare di paura Tim Burton. Che infatti, in maniera intelligente, ha scelto di narrare una storia nuova con gli stessi (azzeccatissimi) personaggi. Il problema è la trama. Derivarla dalla poesia del Ciciarampa che compare in Attraverso lo specchio è geniale, ma mi è sembrata oltremodo semplice. Né carne né pesce. Né Disney né Burton. Soprattutto l’idea di inserire l’Oraculum, il “compendio calendrico di Sottomondo”, è stata davvero infelice, perché svela il finale del film nei primi 10 minuti.
Nonostante ciò, ci sono molti aspetti pregevoli. Primo su tutti: i costumi che, come al solito, fanno sognare. Il cupo Sottomodo e la sua atmosfera gotica. I personaggi: Pinco Panco e Panco Pinco, che ognuno di noi vorrebbe a casa propria; il Brucaliffo, immerso nell’immancabile nuvola di fumo; lo Stregatto, bellissimo (ma poco convincente). Anche questa volta è il cattivo ad essere il più interessate: la capocciona e per questo complessata Regina Rossa che, coi suoi capelli alla Ornella Vanoni, non mi ha (quasi) fatto rimpiangere quella di Cuori disneyana e il suo «Tagliategli la testa!».
Degna di nota l’originale idea dei cortigiani della stessa Regina che, per farsi accettare da lei, camuffano il loro aspetto arricchendolo di difetti fisici simili al suo.
Carina anche quella di riprendere le caratteristiche dei personaggi del Paese delle Meraviglie dell’Alice bambina traslandole in quelli della sua vita reale da adulta (usata, però, già in una vecchia versione cinematografica del romanzo – quella, per capirci, dove Whoopy Goldberg faceva il Gatto del Cheshire).
Una nota stonata è rappresentata, secondo me, dalla svampita e poco alla moda Regina Bianca. Mia cara, che direbbe Miranda Priestly se ti vedesse con quelle sopracciglione nere e i capelli bianchi?!
Alice è una gattamorta e si cambia d’abito troppo spesso. Credeva forse di essere ad una sfilata di Dolce e Gabbana?
Pollice verso anche per Johnny Depp, eco, sempre più spesso, dei suoi personaggi, che conclude la sua interpretazione con un’imbarazzante balletto.
Detto questo, il finale fantasy io lo avrei sostituito con uno meno conformista. Perché tornare da un fidanzato con evidenti problemi di digestione, un lord che guarda nel fazzoletto in cui si è soffiato il naso, quando Alice avrebbe potuto decidere di andare a convivere a Sottomondo con quel gran figo del Cappellaio Matto?

martedì 6 aprile 2010

Il barone rampante

In un’immaginaria Ombrosa, cittadina ligure gremita di boschi nata dalla visionaria mente di Italo Calvino, Cosimo Piovasco, Barone di Rondò, figlio di Arminio e di Corradina la Generalessa - che ricamava pizzi raffiguranti mappe geografiche per “sfogare la sua passione guerriera”, punteggiati “di spilli e bandierine, segnando i piani di battaglia delle Guerre di Successione” - per via di un piatto di lumache preparate secondo la più macabra cucina di sua sorella Battista, monaca di casa, si arrampica su un albero e passa l’intera sua esistenza senza mai più mettere piede a terra.
Mentre il lettore si chiede attonito come possa un uomo, per di più ricco, scegliere di spendere il suo tempo in un luogo tanto poco confortevole e come un autore riesca a scrivere un intero romanzo raccontando una tale assurda storia, Cosimo impara a cacciare, continua i suoi studi, combatte contro i pirati, partecipa alla vita del suo paese, si innamora di Viola D’Ondariva, diventa un letterato e un eroe.
Non solo, durante il suo esilio volontario, col suo berretto di pelo di gatto e accompagnato dal bassotto Ottimo Massimo, vive, senza mai scendere dalla sua dimora arborea, mirabolanti avventure che gli faranno incontrare Gian dei Brughi, il brigante più temuto della riviera, Ursula, appartenente alla comunità di esiliati spagnoli che vivono anche loro sugli alberi ad Olivabassa e nientemeno che Napoleone.
Il suo allontanamento dal mondo terrestre, nel senso più stretto del termine, partito come un gioco, diventerà per Cosimo una vera e propria presa di posizione, nonché un modo di vivere in cui crederà sempre di più, che lo porterà a scrivere prima Il Monitore dei Bipedi e poi, riveduta e attenuata la sua posizione, Il Vertebrato Ragionevole.
Per mezzo di una fiaba, narrata in un modo che fa sempre pensare, l'autore ci parla della bellezza degli ideali, della forza di una convinzione.
Rileggendo Calvino dopo molti anni che non lo facevo l’ho apprezzato più di quanto avessi fatto in passato, specie in questa bellissima trilogia de I nostri antenati.
Chissà che mi riserverà Il Cavaliere Inesistente!

venerdì 2 aprile 2010

The Imaginarium of Parnassus

«Il mondo in cui viviamo è pieno di magia per coloro che sono in grado di vederla»

Sicuramente visionario, The Imaginarium of Parnassus è, secondo me, pieno di riferimenti. Naturalmente quelli che ho potuto vedere io.
Il film racconta la vita di un uomo, il dottor Parnassus, che, dopo aver stretto un patto col Diavolo per ottenere l’immortalità, cambia drammaticamente idea (per conquistare una donna, pensate un po’) e chiede invece la mortalità: un po’ Faust, un po’ Dorian Gray al contrario. Il prezzo di quest’ultima sarà l’anima di sua figlia, Valentina, che, all’età di soli 16 anni, sarà costretta a cederla al Diavolo, il quale, tra parentesi, ricorda quello de Il Maestro e Margherita.
Nel frattempo Parnassus viaggia per Londra con una compagnia teatrale itinerante, The Imaginarium, un immenso carrozzone che mi ha fatto pensare a Il castello errante di Howl. Lo spettacolo che offre al pubblico coinvolge uno specchio magico, simile a quello di Alice in Attraverso lo specchio, entrando nel quale si entra in un mondo parallelo e fantastico.
Ora: ci sono varie interpretazioni che si possono dare all’atteggiamento del dottor Parnassus. Secondo me vuole guidare la mente del suo pubblico al fine di fargli raggiungere la consapevolezza, nel bene o nel male. (A sostegno di questa mia convinzione, cito un passaggio del film: «Se può controllare la mente delle persone perché non governa il mondo?», «Non vuole governare il mondo, vuole che il mondo si governi da sé»). Infatti, in una delle prime scene, un ubriacone entra nello specchio e si trova davanti ad una specie di universo dantesco in cui, da una parte, c’è la salvezza e, dall’altra, molto più semplicemente, un bar. È evidente il riferimento al contrappasso quando lui sceglie il bar, che però esploderà, a significare la sua pena eterna.
Alla compagnia intanto si unisce il giovane Tony, un delinquente che aiuta Parnassus nella ricerca delle anime.
E, ancora, una nuova scommessa fra il Diavolo e Parnassus: il primo dei due che riuscirà a sedurre cinque anime avrà quella di Valentina. Il Diavolo vince, inaspettatamente, proprio grazie a Valentina che decide di passare dalla sua parte, ma le scommesse non sono ancora finite perché il Diavolo, adducendo la scusa che Valentina fosse il premio di quella precedente e che non potesse pertanto prendere parte al gioco, proporrà a Parnassus l’ennesima sfida: uccidere Tony. Nel frattempo quest’ultimo aveva svelato la sua vera identità di criminale e aveva scoperto come coronare i suoi sogni attraverso lo specchio. Ho pensato che l’idea di far cambiare il volto di Tony quando attraversava lo specchio fosse geniale… poi ho scoperto che l’attore era morto e che si doveva rimpiazzare. Comunque io la parte finale l’avrei fatta fare a Johnny Depp e non a Colin Farrel… sempre meglio di Jude Law!
Ma perché il Diavolo vuole una cosa giusta, ossia uccidere un individuo abbietto che era stato disposto a vendere gli organi di bambini innocenti pur di arricchirsi? Beh, forse perché il male assoluto non esiste (né il bene assoluto). Forse è questo che il regista sta cercando di dirci.
Alla fine Parnassus riuscirà ad uccidere Tony. Non riavrà però la sua Valentina come l’aveva lasciata, e sarà costretto a cercarla. La troverà, ma, vedendola felicemente accasata, deciderà di non rientrare nella sua vita.
Insomma, un film con una morale, non svelata, forse, ma presente.
 
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