mercoledì 3 aprile 2013

minimum fax


Ché una casa editrice che si minuscolizza il nome, a me, che io minuscolizzerei tutto (come tutti quelli che hanno fatto un corso da redattore serio), specie quelli che è più grande il nome dell’autore che il titolo del romanzo, una casa editrice così, dicevo, io me la comprerei, se solo c’avessi i soldi, ma, visto che non ce l’ho, me la leggerei, ché infatti lo faccio, ché infatti vi leggo. Oppure ci lavorerei, se solo l'annuncio da correttore di bozze fosse ancora attivo.
E insomma tutto questo per dire: Bravi, ché quando ci vuole ci vuole, la maiuscola.

venerdì 22 febbraio 2013

A proposito di copertine intelligenti


Questo è quello che intendevo quando parlavo di copertine intelligenti (parecchie volte: anche qui e qui).

venerdì 15 febbraio 2013

Sanremo 2013


Come ogni anno, eccoci qui, noi alternativi del cazzo, a parlare della festa della canzone italiana che alternativa non è. Ma comunque.
Simona Molinari e Peter Cincotti. Simo’, te sei messa ’n vestito fucsia che manco alla sagra della porchetta. Peter, canti come al karaoke. Ubriaco.
Almamegretta. Tu, cantante, potevi benissimo rispettare lo Shabbat e te ne saremmo stati grati tutti. Se ti converti all’ebraismo, cazzi tuoi, ma non è che funziona fatta la legge, trovato l’inganno, eh. Comunque, in tempi di crisi, vacilla pure la fede. Guarda tu il papa.
Modà. Non fate orecchie da mercante, Elio e le Storie Tese ce l’avevano con voi quando hanno detto che “se non sei in grado neanche di cantare la canzone mononota ti consigliamo di abbandonare il tuo sogno di cantante”. Fatevene una ragione e datevi all’ippica.
Annalisa. Ora ti insegno, ché sei giovane e inesperta: quando puoi indossare un vestito lungo da notte degli Oscar, è assolutamente vietato presentarti in pantaloncini e camicetta come se fossi appena uscita dall’estetista (sì, l’abbiamo notato che te sei fatta i peli).
Marco Mengoni. Sei bello, bravo, carismatico e stiloso. Ora anche ricco. Mi stupirebbe se non fossi gay.
Daniele Silvestri. Ci ricordi sempre l’improrogabilità delle leggi della natura, ingiustizia divina, per cui l’uomo con l’età diventa interessante e la donna invecchia.
Raphael Gualazzi. Dando nuovo impulso alla lingua italiana, ci hai risparmiato sole cuore amore: bene.
Ilaria Porceddu. Come invecchiare di diec’anni tagliandosi i capelli a porcospino. Quel vestito optical NO.
Paolo Simoni. Il cravattino? Davvero?
Elio e le Storie Tese. DEVONO vincere.
Luciana Littizzetto. Incarceriamo chi ti ha vestito. L’abito di ieri sera era più brutto di una fredda giornata di pioggia (a cui la tua gonna di plastica faceva da ombrello). Comunque: Lucianina santa subito. Grazie, grazie, grazie di averci risparmiato la farfallina, la bionda, la mora, la strappona e tutto il resto del cucuzzaro.

sabato 2 febbraio 2013

Si chiama Francesca, questo romanzo


C’è un solo modo, dicono i sufi […] per sapere se si ha bisogno di un chiodo o di una vite per costruire una panca: conficcare il chiodo. Se il legno si spacca, dicono i sufi, vuol dire che è una vite che c’era bisogno.
Questo romanzo parla di un certo Learco, questo romanzo che si chiama Si chiama Francesca, questo romanzo, di un certo Learco che legge filosofia sufi e traduce da e in russo e che è ustionato e scrive romanzi mentre indossa una tutina mentre gli ricresce la pelle e la prende con filosofia (sufi), questa faccenda di essere ustionato.
Che poi una storia vera e propria non c’è come sempre succede in questi libri di certi autori come Paolo Nori che vanno tanto di moda adesso (e ci sarà un motivo se ci siamo stufati di leggere melense e problematiche relazioni extraconiugali di mariti sull’orlo di una crisi di nervi a causa delle mogli che tradiscono o, peggio, i colori delle sfumature dei coglioni che ci fanno quelli che fanno successo per aver scritto un romanzo simil-Harmony per casalinghe represse) ché adesso con questa letteratura modernista ci siamo abituati e ci piace tanto questo dilagante treperdue di anacoluti e figure retoriche e mancanza di punteggiatura e soprattutto di virgole, che puoi togliere solo quando hai imparato a usarle bene (autocit.), sennò si capisce che non le sapevi usare neanche prima quando le usavi. Che poi viene fuori una scrittura ossessivo-compulsiva bellissima. E allora la trama se proprio proprio c’è la necessità di raccontarla perché magari come Learco ci sono Ada e Gina nella vostra testa che ve la chiedono si può riassumere così: “la storia che racconta questo romanzo è l’intricata vicenda di un trasloco da Basilicanova provincia di Parma a un appartamento ammobiliato a Bologna poco lontano dalla stazione”.
Che poi io che volevo fare tanto la figa che ho comprato Si chiama Francesca, questo romanzo da Marcos y Marcos alla fiera dell’editoria indipendente a Roma e invece poi scopro che l’aveva pubblicato prima Einaudi che si conferma ancora (e credo sempre) la mia preferita nonostante qualche cazzata autore di merda e copertina sbagliata.
Che poi se leggi un romanzo senza punteggiatura ti viene pure a te di non usarla e non è detto che ti riesca bene però piuttosto che niente, però piuttosto che niente è meglio piuttosto, come dicono a Parma. 
 
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