mercoledì 31 marzo 2010

L’altro mondo

Ho viaggiato in treno con Anna Karenina e sulla scopa con Harry Potter.
Ho vissuto la passione di Catherine e Heathcliff a Wuthering Heights.
Ho camminato per le strade di Dublino con Leopold Bloom.
Mi sono accorta di avere il naso storto con Vitangelo Moscarda.
Ho fatto un patto col demonio per rimanere giovane quando ero Dorian Gray.
Ho letto Aristotele con Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk.
Ho bruciato i libri coi Militi del Fuoco.
Ho sofferto la fame con Rossella O’Hara.
Ho sconfitto il Signore degli Anelli.
Ho visto il sorriso di un gatto che non c’è nel Paese delle Meraviglie.
Ho vissuto in Eurasia sotto gli occhi del Grande Fratello.
Ho rubato e sono stata condannata insieme a Jean Valjean.
Ho sentito il fetore del quartiere di Parigi dove è nato Jean-Baptiste Grenouille.
Ho ballato con Esmeralda alla Corte dei Miracoli.
Ho patito il castigo di Raskol'nikov.
Ho viaggiato nel tempo con il Duca d’Auge.
Ho cacciato gli androidi insieme a Rick Deckard e mi sono chiesta con lui se fosse giusto uccidere un essere che si sente vivo.
Ho visto sfasciarsi la famiglia Compson.
Ho campeggiato a La Delfina Bizantina di Anastasia insieme alla signorina Scontrino, Amilcara e Paquito.
Ho assistito al rogo in cui Peter Kien si è lasciato bruciare insieme ai suoi libri.
Mi sono innamorata di Lolita.
Sono stata imbrogliata dal Gatto e la Volpe e sono finita nella pancia del pescecane.
Ho scacciato gli uomini insieme agli animali della fattoria.
Ho alloggiato alla Locanda Almayer.
Ho ricevuto una lettera da Q.
E ho disegnato una pecora per il Piccolo Principe.

giovedì 25 marzo 2010

Il beauty case della Principessa del Malawi – Peonie for ever

Se la tua bellezza è apprezzabile solo quando cala il sole
Se i tuoi brufoli sono talmente tanti da farti somigliare al drago a palle di Maga Magò
Se il tuo stile ricalca ancora quello dei ragazzi di Beverly Hills 90210 o, peggio, quello di uno studente di fisica del vecchio ordinamento
Se il tuo gatto è meno peloso di te
Se la tua zona T è più lucida dell’argenteria di tua nonna
Insomma, se tutti dicono che sei simpatica, ma avresti bisogno di un restauro, ascolta i consigli glitterati della Principessa del Malawi, la madre del ritocco, la makeuppara del terzo mondo, dispensatrice di preziosi suggerimenti modaioli.
Poiché essere belli dentro aiuterà pure nell’aldilà, ma nell’aldiquà mica tanto.


A lei la parola.


Peoniae for ever
Hanno un tocco esotico e sono fantasticamente rosa shocking!
Il nuovo "must" della primavera/estate 2010 sono loro: le peonie.
Per un look assolutamente "inn", sposale con i colori dei fondali marini oppure con qualche anemone.

martedì 23 marzo 2010

Avventure della ragazza cattiva

Mah. Leggendolo ho capito che mi piace molto come scrive Vargas Llosa, ma ‘sta storia è proprio inverosimile.
Ricardo è uno squattrinato traduttore che, per tutta la sua esistenza, è tormentato dalla ragazza cattiva, la niña mala, di cui è follemente innamorato. Ora, questa tizia è veramente cattiva (troppo anche per me), infatti nel corso del romanzo si sposa quelle 8-10 volte che non fanno mai male. Parte bene, perché già da piccola finge con i suoi amichetti di essere cilena (e invece è peruviana come tutti gli altri) e, nel frattempo, tanto per tenersi in allenamento, si struscia un po’ contro uno, un po’ contro l’altro. Cresciuta, diventa militante in un’organizzazione sovversiva che la porta prima a Parigi e poi a Cuba, dove si lega a uno dei boss dei boss della rivoluzione. Non contenta, si sposa con un ricco funzionario francese a cui ruba tutto il denaro che lui aveva tenuto in un conto svizzero intelligentemente cointestato anche a lei, poi con uno inglese morbosamente appassionato di cavalli che la lascia perché bigama, dopo ancora va con un gangster giapponese e infine con il povero Ricardito. Lo farà soffrire e lo lascerà, naturalmente solo dopo essersi portata via i suoi risparmi e avergli fatto spendere centomila franchi per il suo ricovero in una clinica privata per curarla dalla depressione!
Sorvoliamo sul finale perché ho capito che non sono il suo forte.
In tutto ciò, non è tanto lei che mi stupisce, quanto lui… nient’altro che un babbeo dedito allo zerbinaggio. Ma insomma, può essere?! Io credo di no.
E comunque, se fosse sì, uno del genere meriterebbe le fiamme dell’Inferno.

sabato 20 marzo 2010

Il visconte dimezzato

Non c’è niente da fare: sono affascinata dai personaggi malvagi. Questa è stata la volta del visconte dimezzato, meglio noto come Medardo di Terralba il quale, durante una battaglia contro i turchi, viene diviso a metà con un colpo di cannone. Di lui torna a casa solo la parte cattiva, che non sa fare altro che dispensare malvagità: stermina i suoi sudditi indiscriminatamente, regala funghi velenosi ai bambini, fa credere lebbrosa la sua balia e la condanna ad un eterno esilio a Pratofungo, dà fuoco al suo stesso castello e taglia tutto quello che gli capita sotto mano a metà, così, tanto per affinità. Ma, nascosta, giace ancora la sua metà sinistra che è tanto buona quanto è cattiva l’altra, che si farà viva e riuscirà a riunirsi a lui, facendo tornare il visconte tutto intero.
Tra un personaggio eccentrico e l’altro, tra i quali spiccano il medico Trelawney, diventato tale per la sua abilità nel tresette contesa da tutti i più famosi navigatori, con la borraccia di cancarone sempre a tracolla che non si preoccupa dei malati, ma solo delle sue scoperte scientifiche perlopiù consistenti nei fuochi fatui, e Pietrochiodo il bastaio che, grazie al visconte, perfeziona l’arte di costruire forche, Calvino ci vuole parlare dell’incompletezza dell’essere umano in generale, sia esso un letterato, sia esso uno scienziato. Infatti i personaggi sono incompleti e presentano delle caratteristiche spesso contrapposte: i lebbrosi che, nel dolore della loro malattia, festeggiano sempre; il falegname buono che però costruisce patiboli per uccidere, spesso anche gli innocenti; il dottore che, in onore della sua professione, dovrebbe occuparsi degli uomini e invece preferisce fare altro. L’unico tra loro che si sente completo è proprio il visconte, o meglio la sua parte cattiva poiché, essendo stato dimezzato, l’incompletezza, dice, gli è stata tolta. D’altra parte il Buono è sì buono, ma esasperante nella sua filantropia.
Insomma, Calvino ci vuole anche dire che non esistono né bontà né cattiveria assolute, ma un po’ di tutte e due che coesistono in ogni essere umano.
Mi sa, però, che in me è prevalsa la parte cattiva. E comunque, l’erba cattiva non muore mai. Infatti io sto bene. Anche dopo un intervento chirurgico di cinque ore.

venerdì 19 marzo 2010

Quando arrivano gli “enta”

Ho compiuto da poco (diciamo poco, va’) 30 anni. Pe’ millesimo 31, direbbe mia nonna. Nonostante ciò, fino all’ultimo minuto del mio prossimo compleanno dirò che ne ho ancora 30. Eh sì, perché i 30 anni, per una donna, sono paragonabili ai 60. Infatti cominci a pensare che stai invecchiando.
Il dermatologo mi ha detto, cito testualmente: «Le donne a 16 anni cominciano ad invecchiare. Gli uomini, invece, diventano interessanti.»
In effetti io non ci avevo pensato dai tempi in cui, il giorno del mio 29esimo compleanno, mia sorella mi chiese: «Ma non festeggi?», «E perché dovrei festeggiare?», risposi io. «Perché sono gli ultimi “enti” che ti restano!». In più, la sua infelice rivelazione è stata corroborata dalla pubblicità di una nota marca di pannolini igienici che diceva: «Hai 30 anni e le prime perdite di urina?». Oddio.
Allora ripensi ai bei tempi andati, quando avevi la pelle di pesca e mo’ te va bene se te danno del kiwi. Quando d’estate, da adolescente, non ti mettevi i sandali e sudavi da cani con le Dr. Martens perché ti vergognavi dei tuoi piedi e adesso è di ben altro che ti devi vergognare… e purtroppo si estende su una superficie molto più ampia. Quando il tuo girovita era un “vitino di vespa”. Quando portavi alto lo stendardo dei mangiatori di mortadella e non ingrassavi di un etto e ora sei fortunata se non ingrassi di un chilo se mangi una caramella senza zucchero. Insomma, per farla breve, prima eri un Ferrero Roche… adesso sei solo un Mon Cheri che, si sa, rimane sempre nella scatola. Quelli sì, che erano bei tempi!
Ora che la voglia di Vuitton sale e quella delle borse di tela scende, ora che le maniglie dell’amore sono le uniche parti del tuo corpo ancora tornite, ora che per te la buccia d’arancia non è più quella con cui si fanno i canditi, ora che le tue occhiaie sono più profonde della fossa delle Marianne, ora che hai più punti neri di uno stuolo di coccinelle e che i tuoi capelli somigliano al pennacchio del cappello dei Carabinieri, devi pure combattere con la forza di gravità, tua acerrima nemica. E, come se non bastasse, si aggiunge a questo sfacelo anche la cara cellulite. Sì, vabbe’, devi usare le creme, farti i massaggi, fare tanta plin plin. Ma, se lo fai, siamo sicuri che se ne vada? No, perché io sono oramai cinque o sei mesi che m’incremo e bevo due litri d’acqua (rigorosamente naturale) al giorno, ma non mi sembra che la situazione sia cambiata un granché.
Ho quasi 31 anni, le vene varicose sono dietro l’angolo.

Come diventare buoni

Come diventare buoni è sicuramente un libro che istiga alla cattiveria. E io posso dirlo, poiché di cattiveria me ne intendo.
Racconta la storia di una donna sposata e con figli a carico che, solo per il fatto di essere un medico, crede di essere buona e tormenta i lettori per tutto il romanzo co’ ‘sta storia.
Il marito è uno pseudo scrittore che tiene una rubrica, L’uomo più arrabbiato di Holloway, sul giornale locale, una polemica contro la società, anche verso gli individui più deboli, per esempio i vecchi che, dice, dovrebbero sedersi nel posto riservato a loro sull’autobus, preparare le monete in anticipo per pagare il biglietto, non alzarsi venti minuti prima della loro fermata. Tenta, inoltre, di scrivere un libro, Green keepers, una “satira sulla cultura sentimental-lacrimosa del dopo Diana”. Mi sembra un uomo abbastanza interessante fin qui.
Dopo il tradimento di lei, però, lui si fa curare un mal di schiena da una sorta di santone, BuoneNuove, che, miracolo dei miracoli, non solo gli toglie il mal di schiena con la sola imposizione delle mani, ma gli toglie pure la cattiveria! Così diventa una specie di Madre Teresa di Calcutta: prende in casa il santone, regala i giochi dei figli ai bambini poveri, indice una riunione di quartiere al fine di convincere i suoi vicini a ospitare dei senzatetto… in pratica diventa più melenso della melassa del ghiro di Alice nel paese delle meraviglie, più stucchevole di una torta con panna immersa nel caramello e ricoperta di zuccherini colorati… tutto sommato: uno sfigato irritante.
Più di questo non so dire, perché, onestamente, non ho ben capito dove l’autore volesse andare a parare.
Avrebbe dovuto intitolarsi Come non diventare cattivi. Ma col punto interrogativo alla fine della frase e sottintendendo: dopo averlo letto, perché, dopo averlo fatto, è il lettore che diventa l’uomo più arrabbiato di tutti.
Morale della favola: essere buoni ti porterà pure un posto in Paradiso, ma ti rende estremamente noioso.

Sa(n)remo bambini che fanno “oh”… sì, ma dall’imbarazzo

Quest’anno mi sono messa, con impegno, o, come direbbe papà, di buzzo buono, a vedere il Festival di Sanremo. Soprattutto perché a presentarlo è Antonella Clerici, l’indimenticata (almeno da me) conduttrice de La prova del cuoco, la regina delle lasagne alla bolognese e delle tagliatelle di nonna Pina, la beniamina delle casalinghe, colei che porta alto lo stendardo dell’adipe che mamma natura le ha donato (e mica solo a lei).
La prima serata si è aperta all’insegna dell’allegria e dell’innovazione con Toto Cutugno, in completo bianco e orecchino di diamante, che ha presentato la sua Aeroplani. Ora, Toto, parliamone un attimo: sei arrivato sempre secondo al festival della canzone italiana, c’hai una certa età, pertanto hai due possibilità: o decidi che continuerai la tua carriera in un posto secco e freddo come la Siberia (che io so essere uno dei luoghi dove ti apprezzano di più) oppure ti metti a casa buono buono a tagliare l’erba del prato di casa tua. Ma ti prego, non continuare a tormentarci con la tua eterna lagna.
A seguire è arrivato Nino D’Angelo con un’imbarazzante canzone napoletana (il titolo dice tutto: Jammo Jà) e, per concludere quella che è stata la mia prima serata di cantanti, Pupo ed Emanuele di Savoia, che, come molti di voi avranno notato, canta come il Giudice Morton di Chi ha incastrato Roger Rabbit?. Ma non è finita qui. Poi c’è stata l’intervista, se così si può definirla, di Antonella Clerici a Cassano. Io pensavo fosse straniero, visto il modo in cui parlava, invece poi l’arcano è stato svelato: è di Bari. Il commento di papà quando gliel’ho raccontato è stato: «E mo’ parla bene, dovevi senti’ prima». Fa il calciatore, ma ha scritto un libro di aforismi. Be’, non prendiamocela se gli aforismi prima li scriveva Oscar Wilde, perché viviamo in tempi moderni e chiunque può farlo. Infatti. Ha commentato uno dei migliori, che recitava così: «Ho scritto più libri di quanti ne abbia letti». Il fatto è che fino ad ora ne ha scritti solo due, quindi, se la matematica non è un’opinione, l’unico numero intero minore di due è uno. Che tristezza. A questo punto ho dovuto per forza cambiare canale. E meno male che su Rai 3 c’era Ballarò.
Poi c’ho riprovato la terza sera, ma, pure stavolta, hanno cominciato con Toto Cutugno, ancora in completo bianco con orecchino di diamante e, come se l’imbarazzo non avesse mai termine, si è presentata insieme a lui Belen Rodriguez, eterna presenza della televisione italiana, dopo la sua magistrale interpretazione ne L’isola dei famosi. La fantastica Aeroplani è stata pertanto cantata in duetto da Belen e Toto che si guardavano romanticamente nelle palle degli occhi e che faceva pressappoco così. Lui: «Amore mio stringimi forte le mani». E ha pure stonato. Lei: «Ammore mmio, dimi che mi ami».
Anche questa sera hanno proseguito la dimostrazione canora Pupo ed Emanuele Filiberto, patetica al punto tale che nemmeno la presenza del tenore che li accompagnava ha contribuito a rendere più dignitosa l’esibizione della canzone più sciovinista del festival: Italia, amore mio. E pure qua, reitera il tanto inflazionato “amore mio”. Un tormentone, come la “pace nel mondo” per le Miss. Chiaramente ho dovuto cambiare canale anche stavolta, andando su un più affidabile Annozero. Antonella… e però l’hai voluta tu! Ma rimarrai sempre, e comunque, la conduttrice più simpatica che ci sia!
Mauro Mazza, il direttore di Rai 1, ha commentato così l’evento: «Il Festival di Sanremo di quest’anno tende a somigliare all’Italia di oggi». Non posso trovarmi più d’accordo.
Morgan, non preoccuparti di non essere stato invitato al festival solo perché pippavi un po’ di coca: quelli che fanno successo a Sanremo poi svaniscono nel nulla. Qualcuno si ricorda chi sono i Jalisse?

L'uomo che fissa le capre

Qualche volta George Clooney, tra un’Elisabetta Canalis e una gita sul lago di Como, si ricorda pure di saper recitare. E lo fa piuttosto bene quando interpreta questi ruoli demenziali. In L’uomo che fissa le capre è Lyn Cassady, un ex militare trasferito all’Esercito della Nuova Terra, l’ambizioso progetto degli Stati Uniti d’America che si propone di creare truppe in grado di combattere il nemico attraverso la pace e la Forza, quella stessa che anima le vicende di Guerre Stellari. Non a caso nel cast c’è anche Ewan McGregor, un timido giornalista, Bob, che arriva in Iraq in cerca di scoop. Qui incontra Lyn, il più promettente guerriero Jedi dell’Esercito della Nuova Terra, fondato da Bill Django, il quale, dopo una catartica rivelazione durante la guerra in Vietnam, si dà all’ascetismo e diventa un perfetto fricchettone provvisto naturalmente di maglietta sdrucita con su il simbolo dell’Om.
Bob accompagnerà Lyn nella sua missione segreta, che li porterà a compiere mirabolanti avventure che cominceranno nel deserto (molto divertente la scena del cono biodegradabile in grado di cuocere qualunque tipo di cibo in un tempo non ben precisato e l’incidente d’auto, avvenuto, dice Lyn, a causa dello Stato di Bilocazione in cui era entrato), durante le quali scoprirà che l’esercito hippie è in grado di disintegrare nuvole e uccidere capre innocenti con la sola forza del pensiero, combattere il nemico attraverso armi completamente riciclabili, ma anche attraverso lo Sguardo Scintillante, il Disincentivo Psichico (ovvero ficcargli in gola una penna o un qualunque oggetto appuntito che faccia zampillare il suo sangue) e il D-MAC, il tocco della morte (che ti colpisce, ma potrebbe provocare il danno anche a distanza di una ventina di anni).
Bravo anche Kevin Spacey, nei panni dell’antagonista cattivo, invidioso dei poteri straordinari di Lyn, che farà cacciare dall’Esercito, per crearne uno nuovo, gestito a modo suo, le cui armi sono state potenziate e migliorate. Alcuni esempi? Le api d’attacco oppure la mina con airbag.
È una commedia irriverente e ironica che si fonda sull’idea divertente, tipicamente stelle e strisce, della ricerca dell’arma letale che distruggerà il mondo.

Nine

Come ha ben detto Federico ieri sera, con un cast così era abbastanza difficile fare flop. Eppure il regista di Nine ce l’ha fatta. E ce l’ha messa davvero tutta.
Ispirato a 8 ½ di Fellini?! Io direi spudoratamente scopiazzato. E male, peraltro.
L’altro giorno qualcuno (mi pare Elisa), ha pubblicato un link ad un articolo che parlava delle vignette della Panini che copiavano Miyazaki e un utente si chiedeva dove stesse il confine tra l’omaggio e il plagio. Onestamente non lo so, ma credo che un omaggio sia banalmente un richiamo all’opera, una citazione, un’immagine simile, un concetto che riporta alle stesse emozioni. Il plagio è invece, in questo caso, quando si tenta di fare qualcosa, ma non si ha abbastanza estro (o talento?!) e quindi si copia.
Ho letto che il regista ha più volte specificato che il film non è un remake di quello di Fellini. Però l’idea è la stessa. Però i personaggi sono gli stessi. Però la storia è la stessa. L’unica differenza sta nel fatto che Nine è un musical e 8 ½ non lo era. Naturalmente sempre parlando di un capolavoro da una parte e un filmetto dall’altra (come disse Titina, «Non confondiamo la cacca con un’altra cosa!»).
Io non mi intendo molto di cinema, però 8 ½ l’ho visto e mi è piaciuto. La dimensione onirica che Fellini aveva rappresentato, forse per la prima volta (e che, intendiamoci, non aveva nulla di nuovo letterariamente parlando perché richiamava quel flusso di coscienza tanto usato dagli scrittori del ‘900), attraverso una crisi artistica, ma anche esistenziale, del protagonista, in Nine non c’è nemmeno lontanamente.
In 8 ½ il contrasto tra la moglie e l’amante è molto forte, anche in senso fisico. E infatti Fellini, che stupido non era, ha scelto di rappresentare la seconda con un’adattissima Sandra Milo, anche per l’opinione che il pubblico italiano aveva di lei. E alla povera Penelope Cruz, per quanto si sforzi e per quanto brava, una parte del genere non si addice per niente.
Sembra che la trama debba per forza incastrarsi tra un balletto e il successivo. E infatti è così, dal momento che il regista voleva fare un musical su una storia già scritta.
Comunque, secondo me, si aggiunge a tutto ciò il fatto che queste performance canore non è che siano poi stupende. In Moulin Rouge lo erano.
Infine ho letto che addirittura, oltre che la copia carbone (anche se il foglio originale si è spostato mentre lo ricalcavano) di 8 ½, il film è anche, in parte, tratto da un musical di Broadway. E allora, mio caro Rob Marshall, ti vorrei chiedere: tu, oltre a dare (immagino) un compenso da urlo a fior fiore di attori, che cosa hai fatto?
Credo che la tortura rappresenterebbe una valida alternativa alla visione di questo film: non vedetelo!

Donna è bello (?)

La figura della donna è stata da sempre deprecata, insultata, ridicolizzata e accusata.
In Italia abbiamo ottenuto il voto solo nel 1945, dall’altre parti circa una trentina di anni prima.
Tiresia, interrogato da Zeus e Era, disse che le donne, dei dieci piaceri dell’amore, ne provavano ben nove, mentre l’uomo uno solo. Ma che diavolo di donna era diventato?! E infatti poi va all’Inferno.
Le grandi donne passate alla storia lo sono sempre solo se associate a un grande uomo, ma, anche in questo caso, in negativo… pensate a Nora Joyce che non leggeva i libri del marito perché non li capiva.
Ma pensate anche alle donne come protagoniste della letteratura mondiale: la signora delle camelie era una traviata, Anna Karenina un’adultera, in Flatlandia Abbott ci dipinge come pericolosissimi punti.
Dante, poi, c’ha fatto nere. Si vede che un pochetto ce l’aveva con le donne. Mette Didone nel girone dei lussuriosi. Poveraccia! E vabbe’ che aveva promesso al marito che gli sarebbe stata fedele, ma cacchio… lui era morto! E poi s’era innamorata mica di uno qualunque, s’era innamorata di Enea… secondo me le sarebbe toccato almeno un limbo!
Pure Francesca (quella di Paolo) sta tra i lussuriosi, ma mica era una professionista come Semiramide, Elena e compagnia bella… l’è toccato uno storpio, e ci credo che era infedele!
Nemmeno in età antica ci salvavamo, pensate a Medea di Euripide che ammazza i figli, ma anche alla povera Eva della Bibbia.
Nel Medioevo se credevi un po’ all’oroscopo ti mandavano al rogo.
E pure ai giorni d’oggi non stiamo messe poi tanto meglio: Vargas Llosa, a proposito di donne, ne La zia Julia e lo scribacchino dice: «A cosa potevano servigli persone le cui migliori attitudini erano la fornicazione e la cucina?». Pure le serie comiche non ci risparmiano: è rimasta alla storia la famosa frase di Mr. Garrison in South Park sulle donne: «Mi dispiace, ma io non mi fido di una cosa che sanguina per cinque giorni e poi non muore.»
Naturalmente potrei continuare.

Ma ragazze, ci sono tante ragioni vantaggiose nell’essere donna. Su qualche sito internet ne ho trovate alcune, di cui vi riporto quelle più significative:
  • La nostra testa è un organo ben separato dal pube.
  • L’organo sessuale femminile è uno dei più efficaci strumenti di potere al mondo.
  • La casa di una donna single si distingue da una cuccia per cani.
  • Non puzziamo come un caprone se saltiamo un giorno la doccia.
  • Viviamo più a lungo.
  • Al ristorante ci servono per prime.
E questa notevole: 
  • Se lasciamo la tavoletta del water abbassata non è solo perché abbiamo fatto la cacca.
Ne voglio, però, aggiungere delle altre, per coloro le quali ancora non si sentissero abbastanza confortate:
  • Siamo brutte? Possiamo sempre rimediare agli errori di madre natura con qualche ritocco qua e là.
  • Siamo basse? Entriamo dappertutto e le gambe non ci si rattrappiscono viaggiando sul TAF.
  • Se le nostre occhiaie sono più profonde del Mar Morto, non importa: indossiamo una maglietta scollata e nessuno se ne accorgerà.
  • Possiamo andare in bicicletta senza il parapalle.
  • La nostra uretra è lunga solo pochi centimetri, quindi se ci devono mettere un catetere…
  • Possiamo piangere e ci diranno che siamo sensibili, non frocio.
  • Non dobbiamo cambiare le gomme della macchina se ci si bucano.
  • Possiamo essere lunatiche, almeno cinque giorni al mese, che poi diventano di più perché siamo nervose non solo quando abbiamo il ciclo, ma anche quando ci deve venire!... Hai visto, mio caro Mr. Garrison, che anche le sfortune possono essere girate a nostro favore?!
  • Possiamo fare più di una cosa alla volta.
  • Sappiamo vestirci da sole perché sappiamo abbinare i colori.
  • Ci ricordiamo cose che non sono solo battute dei film, ma soprattutto che risalgono a più di una settimana fa.
  • Possiamo dire “sì” quando intendiamo “no” e “no” quando intendiamo “sì”.
  • Possiamo utilizzare il pianto come arma di ricatto.
  • Sappiamo rispondere con qualcosa di più di un semplice monosillabo.
  • E infine… come diceva la pora Marge… siamo donne, possiamo portare rancore per sempre!
Quote rosa? Ma vaffanc**o! Non ne abbiamo mica bisogno!

Il Signore delle Equazioni - Prologo

1. A proposito degli Ingegneri
Questo racconto riguarda principalmente gli Ingegneri e, dalle sue pagine, il lettore imparerà molto sul loro carattere e un po’ della loro storia; ulteriori informazioni potranno trovarsi nel Libro del limite inferiore, già pubblicato col titolo di L’Ingegnere Ingegnoso.
Molti, comunque, desidererebbero saperne di più su questo popolo primordiale, e per questi lettori sono stati qui annotati i punti essenziali della tradizione degli Ingegneri e riassunte le loro prime vicende.

Il popolo degli Ingegneri è discreto e immodesto, di antica origine, più numeroso oggi che nel passato, per via delle lauree brevi che sono più facili. Dotati di capacità intellettive superiori alla media e fisiche inferiori a quelle di qualunque bradipo terrestre, gli Ingegneri costituiscono una minoranza che, dai tempi dei tempi, è stata costretta a subire le più atroci angherie.
Anche in passato erano estremamente schivi; ora poi, evitano addirittura con disprezzo la “Gente Che Non Conosce La Matematica” ed è diventato difficilissimo trovarli.
Per quanto riguarda gli Ingegneri della Accountea, di cui tratta questo racconto, essi erano un popolo onesto e studioso; conoscevano perfettamente il calcolo vettoriale (ma non si ricordavano mai come fare una divisione a mente), consideravano qualsiasi altro corso di laurea non scientifico troppo facile e ridevano alle barzellette sui Matematici. Possedevano un quoziente intellettivo maggiore del loro peso e conoscevano le seconde funzioni delle loro calcolatrici. Erano convinti di poter costruire qualunque cosa, infatti mangiavano gli ovetti Kinder solo per montare la sorpresa. Amavano i Lego, che progettavano con un pacchetto CAD.
Le loro abitudini riguardavano essenzialmente lo stare in luoghi chiusi, possibilmente dotati di calcolatori elettronici, guardando film di fantascienza per trovare le imprecisioni tecniche.
Più che belli, generalmente erano simpatici e avevano spesso una protuberanza sulla schiena che gli altri popoli usavano chiamare “gobba”, ma che per loro era sinonimo di ore e ore passate a studiare, quindi di bellezza. Non avevano preferenze sui colori e si vestivano in maniera casuale o, come direbbero loro, aleatoria.
La parentela che unisce gli Informatici agli Ingegneri, malgrado la loro recente ostilità, è più che evidente e molto più stretta che non quella che li unisce ai Matematici o persino ai Fisici. In tempi lontani parlavano il linguaggio binario degli Informatici, a modo loro, ed avevano le stesse preferenze e le stesse antipatie. Quale sia però l’esatta parentela, ormai nessuno lo può dire: gli albori della civiltà degli Ingegneri sono persi nei Tempi Remoti caduti nell’oblio; solamente i Matematici conservano ancora ricordi di quel tempo che fu, ma sono solo ricordi della loro propria storia, ove gli Informatici hanno poco posto e gli Ingegneri niente del tutto. Eppure è un fatto che gli Ingegneri siano vissuti tranquilli e pacifici nella Terra di Un Mezzo per anni e anni prima che gli altri popoli si accorgessero della loro presenza; e, dato che il mondo è pieno zeppo di strane creature, questi esseri che si credevano superiori sembravano ben poco importanti.

2. A proposito della scoperta dell’Equazione
Il Libro del limite racconta che un giorno si presentò alla porta di Ivren il grande Hacker, Stallman il grigio, accompagnato da tredici Fisici, tra i quali nientemeno che Thorri Tubodimercurio. Benché sbalordito e incredulo, Ivren partì con loro alla ricerca del tesoro appartenuto al re dei Fisici. La spedizione fu coronata da un brillante successo, tuttavia il gruppo fu assalito dagli Statistici, un popolo disprezzato da tutto il mondo scientifico, un popolo immondo che aveva come scopo quello di sintetizzare i dati attraverso i suoi strumenti grafici (diagrammi a barre, a torta, istogrammi…) e i suoi indici (media, varianza…).
Durante la lotta, Ivren si smarrì nel loro immenso spazio campionario reale continuo. Era un locale grandissimo, completamente interrato, pieno di lavagne tempestate di formule. Ivren, però, la riconobbe subito: era lei, l’Equazione. Se ne impossessò e la cancellò dalla lavagna.
Cercando una via d’uscita, Ivren giunse nel luogo in cui viveva Itgum. Era un piccolo essere ripugnante che un tempo era appartenuto al popolo degli Ingegneri, spacciandosi per uno di loro; poi, però, si era scoperto che non era riuscito ad arrivare all’Università perché si era fermato all’Istituto Tecnico per Geometri: fu un’onta per il popolo, che lo scacciò in malo modo.
Egli possedeva un tesoro segreto: un’equazione capace di fare il calcolo strutturale di qualunque edificio.
Itgum, che non si era ancora reso conto di non avere l’Equazione, sfidò Ivren al gioco degli enigmi, ma quest’ultimo, scaltro come solo un Ingegnere sa essere, approfittando dell’inferiorità intellettiva del Geometra chiese: «Quanti ferri ci vogliono per armare un pilastro?». La risposta era semplice ma Itgum, incapace di fare qualunque conto senza la sua Equazione, non seppe rispondere e Ivren vinse.
Fu così che gli Ingegneri ebbero l’Equazione ed è qui che incomincia la nostra storia.

La rivincita delle bionde

Anche i film frivoli possono, a volte, insegnarci qualcosa.
È questo il caso de La rivincita delle bionde che racconta la storia della biondissima Elle Woods, volubile e ricca ragazza californiana, candidata più e più volte al prestigioso premio Miss Bikini dell’anno, reginetta della confraternita Delta Nu che si sente meglio, qualunque cosa accada, andando dall’estetista a farsi le unghie. Tutto scorre alla perfezione finché, quando meno se lo aspetta, il fidanzato, perché la considera troppo superficiale («Se diventerò senatore dovrò sposare una come Jackie non una come Marilyn»), la lascia nel bel mezzo di una cena… subdolamente, aggiungerei io (potevano almeno fini’ de magna’).
Così lei decide, nonostante le avversità e il parere contrario dei genitori («Tesoro, sei arrivata seconda al concorso “Miss Aria delle Hawaii”. Perché buttare all’aria tutto questo?»), di iscriversi alla facoltà di legge e si trasferisce in quel di Harvard insieme al suo guardaroba griffato e chihuahua munito di collana di Tiffany.
Elle riuscirà, proprio grazie alle sue conoscenze modaiole che tanto l’avevano intralciata, a farsi strada nel mondo forense. Verrà infatti coinvolta nella difesa di Brooke Windham, idolo ginnico delle ragazze, in un processo che vede quest’ultima colpevole dell’omicidio del marito. Eluderà l’accusa del giardiniere che diceva di aver avuto una relazione con Brooke dimostrando la sua omosessualità (scoperta perché lui sapeva che le scarpe che lei indossava erano della passata collezione di Prada) e dimostrerà che la vera colpevole dell’omicidio è la figlia stessa dell’assassinato poiché sosteneva di essersi fatta la doccia proprio dopo la permanente («Non è una regola fondamentale della permanente non bagnarsi i capelli entro le prime 24 ore per evitare di neutralizzare l’azione dell’ammoniaca?»).
È una commedia semplice e senza pretese, ma, dietro questa parvenza, qualche significato ce l’ha, sebbene trito e ritrito: la diversità, i pregiudizi, ecc. ecc. Però è divertente e alcune delle battute sono esilaranti, adattissime al genere.
Da parte mia posso dire che, oltre al bikini paillettato, quello che mi è piaciuto di più è stato il suo porta fazzoletti rosa peloso… quanto lo vorrei! Almeno quando devi fare una cosa triviale come soffiarti il naso lo puoi fare con stile!

La cioccolata non fa ingrassare se la mangi senza senso di colpa

Purtroppo io non sono un campione significativo. Mi piacciono tutti i tipi di dolci, soprattutto se sono grassi. Se poi c’è una certa quantità di zucchero aggiuntivo, meglio ancora.
Dolci della tradizione? Macché, io snobbo persino quelli. Ciambellini di magro, pizza di Pasqua, crostata della nonna… Non sono abbastanza saporiti. La torta al cioccolato, il tiramisù… mai soggetto ebbe nome più azzeccato… questi sì, che meritano rispetto!
E fin qui tutto bene perché, anche se calorici, potrebbero essere in un certo modo salubri, se fatti in casa. Ma dove le mettiamo le caramelle gommose del cinema il cui ingrediente meno chimico è l’acido glutammato E502K?
Fin da piccole, io e mia sorella siamo state abituate a mangiare, soprattutto dolci e schifezze, a qualunque ora del giorno. Praticamente, siamo come due Hobbit della Contea.
Il problema è che adesso l’età avanza e si fa sentire tutta. Le rughe cominciano a essere visibili, ma soprattutto il nemico di tutte le donne sta sopraggiungendo inesorabilmente: la cellulite.
Avoja tu a impacchettatte dentro la pellicola trasparente dopo essete intrujata ben bene co’ na mistura de fanghi. I miracoli non esistono.
E quando finalmente l’hai capito e passi a rimedi ancora più drastici, è l’inizio della fine.
Personalmente sono ricorsa all’acquisto di un aggeggio infernale: la Wii Fit. No, non la voglio chiamare IL Nintendo Wii. Continuerò a chiamarLA Wii Fit, perché, innanzi tutto, così me dà più confidenza perché me sembra de sta’ co’ un’amica e poi IO ME LA SO’ COMPRATA SOLO PE’ FA’ YOGA. C’avrò pure il diritto de chiamalla come me pare, dopo ave’ speso 350 euro, no?
Ho toccato il fondo quando ho tentato, e ci sono riuscita, di imbrogliarla facendo finta di correre (basta muovere il controller). Chiaramente, l’ho poi lasciata lì a marcire.
Alla fine mi sono detta che, per superare il problema, basta pensare positivo. Tutto dipende dal sistema di riferimento. Allora, come dice Stefania, la protagonista di uno dei miei film preferiti, Dillo con parole mie, basta pensare che:
  1. se non metti i vestiti per tanto tempo si rimpiccioliscono perché le fibre sono elastiche, la lana vuole tornare alla pecora e tutto si restringe;
  2. i dolci fanno dimagrire perché ti danno energia: più energia hai più ti metti in moto, più ti metti in moto più dimagrisci;
  3. la cioccolata non fa ingrassare se la mangi senza senso di colpa.
Al diavolo le diete, i fanghi, i vestiti neri, i jeans che sollevano.
Io rimango così come sono perché, per citare ancora Stefania, «Io vorrei essere leggera… è che proprio non ci riesco!». E vorrei aggiungere: in tutti i sensi.

L'(in)utilità della matematica

Mi sono sempre chiesta perché se uno non si ricorda la data della rivoluzione francese è un ignorante e se invece non sa quanto fa 7x3 ci si ride sopra. Eppure la matematica serve a tante cose. Non vi piace? E vabbe’… mica tutti possono essere perfetti!
Tra tutte le scienze, la matematica e la fisica sono sicuramente le più utili. Non sono mica insulse come la statistica, che non è una scienza esatta. Infatti dice che se io ho 50 euro e tu niente, abbiamo in media 25 euro. Paradossale.
Applicate piacciono tanto agli ingegneri. Ovviamente. E ovviamente piacciono anche a me.
È che ci insegnano ad amarle fin da quando intraprendiamo il lungo e impervio cammino per diventare professionisti del mestiere.
Il test di ingresso alla nostra facoltà si fa su un libretto diviso in quattro sezioni, ognuna delle quali è colorata in modo diverso. Lo sapete perché? Perché il test è a tempo e i professori/controllori, dall’alto delle loro scrivanie in mogano, riescono a capire se tu stai ancora alla sezione precedente.
Per l’esame di Geometria e algebra, il primo che ho fatto, il nostro professore, pace all’anima sua perché è pure morto, dietro un innocuo aspetto da Paolo Bonolis palestrato, aveva inventato un metodo infallibile per non far copiare gli studenti: il tuo numero di posto lo capivi solo dopo aver fatto un integrale. Se t’andava bene ti toccava una divisione, però non era mica così semplice. Ti dovevi ricordare che il posto tuo era il resto della divisione e se sbagliavi… che succederà mai? Ma de che, eri BOCCIATO! Certo che c’hanno veramente forgiato! Questo è il motivo per cui per noi, a differenza di tutti gli altri esseri umani, : ) sono solo due punti seguiti da una parentesi tonda.
Ci hanno insegnato che la fisica è la ragione per cui non scivoli all’infinito mentre cammini, per cui se giri sul ghiaccio con le braccia larghe vai piano e se le stringi vai più veloce, per cui se ti butti da una finestra cadi, ma anche quella per cui nell’acqua sembra che abbiamo tutte il push-up.
La matematica, invece, ci insegna che il cerchio è la figura geometrica piana con il perimetro minore e area maggiore. Magari non servirà a niente, però intanto lo sappiamo.
Comunque serve pure per ragioni più terra terra, come per calcolare la percentuale di sconto quando ci sono i saldi o per vedere se il resto che ti danno è sbagliato.
Pensate per esempio a come si sarebbe potuto salvare quello del Settimo sigillo se avesse saputo giocare meglio a scacchi (ok, non era proprio così, ma ho reso l’idea, no?).
Ti insegna a capire se è meglio correre o camminare sotto la pioggia. Il mio professore di fisica aveva perfino elaborato un teorema su questa interessantissima e indispensabilissima questione.
Insomma, la matematica ci serve sempre.
Tutti quanti avete sentito Brandon Lee che nel Corvo diceva: «Non può piovere per sempre», ma forse non vi siete mai chiesti se ci sia una spiegazione logica a questa affermazione. Be’, ve la do io e per questo, d’ora in poi, dormirete sonni più tranquilli: come dissi a una mia amica, è presto detto perché intensità-durata della pioggia è un’iperbole equilatera.

La zia Julia e lo scribacchino

Delle due l’una: o il traduttore del romanzo è stato gran bravo oppure sto Vargas Llosa sa proprio scrivere.
E dire che se non fosse stato studiato così bene sembrerebbe un libro Harmony. Eh, sì, perché racconta una storia d’amore nei capitoli dispari e in quelli pari nientemeno che romanzi radiofonici peruviani, l’antenato più prossimo delle telenovelas sudamericane.
La storia è quella di Mario, diciottenne direttore del Servizio Informazioni di Radio Panamericana, a Lima. Il suo lavoro consiste nello scrivere e annunciare bollettini sulle notizie interessanti del giorno, aiutato dal suo redattore Pascual, amante delle catastrofi, e dal Gran Pablito, analfabeta.
A Radio Central arriva Pedro Camacho, popolarissimo autore boliviano di romanzi radiofonici, “individuo piccolino e minuto, ai limiti dell’uomo di bassa statura e il nano”, che, tra un infuso di cedronella e menta e un insulto all’argentinità (che, “come il morbillo, è contagiosa”), scrive, travestito dai suoi personaggi, storie che in poco tempo conquistano le folle.
Quasi contemporaneamente giunge in città la zia Julia, sorella della moglie dello zio di Mario, che diventa la sua innamorata (“nel senso più miraflorino della parola”) e che poi sposerà, non senza difficoltà familiari.
Accanto al racconto di Mario e Julia si svolgono allora, a capitoli alterni, i romanzi radiofonici di Pedro Camacho, il vero protagonista della narrazione: un “intellettuale fra virgolette” che “guardava olimpicamente i mortali”, il “Balzac creolo”, il “Napoleone dell’Altopiano”.
La sua ispirazione, però, finisce e lui viene internato in un manicomio. Uscirà, ma sarebbe stato meglio se fosse rimasto lì dentro perché finirà per fare il fattorino per una testata giornalistica sull’orlo del fallimento e sposerà una grassa ballerina di lap-dance.
A parte il finale, sottotono rispetto al resto, è un libro veramente interessante, ironico e letterariamente mooooooolto pregevole. Vargas Llosa riesce a scrivere una frase perfettamente comprensibile pur mettendoci un milione di incisi dentro.
Tra parentesi, io sto coi genitori di Mario che si oppongono al matrimonio tra lui e Julia. In fondo, lei era quasi pedofila.

Lezioni di grafica

Il mio fidanzato è un grafico. Attorno alla grafica ruota un mondo che noi poveri mortali non potremo mai capire appieno. Per questo voglio aiutare tutti coloro che, come me, non lo sono. Svelerò, pertanto, alcune delle regole che governano questo misterioso universo.
Dovete sapere che:
  1. Il Comic è una scrittura da segretaria, per cui, se non vogliamo che un grafico rida di noi, non usiamolo. 
  2. Il termine “scrittura”, utilizzato impropriamente al punto 1, si chiama font. D’ora in poi userò sempre questa dicitura, onde incorrere nell’ira funesta del Paolide Ciro. 
  3. Esistono vari tipi di font, ma quello che dobbiamo usare per un testo lungo si chiama graziato (quello con gli arzigogoli, ndr), mentre quello da usare per un testo corto o matematico si chiama bastoni (quello dritto, ndr). 
  4. Il bianco è elegante. 
  5. La semplicità anche.  
  6. Un documento a carattere scientifico, specialmente se si tratta di una presentazione, non deve contenere ciò che non è prettamente attinente allo stesso (nuvolette, fumetti, pupazzetti eccetera). 
  7. Le figure si fanno con Photoshop, perché così vengono belle. 
  8. Il grassetto si fa con un apposito font, non con l’icona dedicatagli da fior fiore di ideatori di programmi per la scrittura. 
  9. I titoli di qualunque cosa non vanno mai messi al centro della pagina, a meno che non si tratti di un’epigrafe. Anche se le epigrafi possono essere di vario tipo, un grafico identificherà sempre un titolo centrato con un’iscrizione mortuaria.

Il Bel Paese

Eravamo il paese di Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Luigi Pirandello. Eravamo, cioè, il paese delle eccellenze in tutti i campi: arte, letteratura, cultura in generale. Oggi siamo quello dove i laureati non solo non riescono a trovare lavoro, ma se ne trovano uno con contratto a progetto, senza ferie, senza malattia e senza diritti, sono fortunati.
Ma dove è cominciato il nostro degrado? Io credo che dovremmo ragionare sul passato e sul presente.
Un tempo la cultura aveva un significato. La cultura intesa, da noi, addirittura come musica: a Sanremo c’era Luigi Tenco, oggi c’è Marco Carta.
Il premio Strega lo vincevano Cesare Pavese, Alberto Moravia, Elsa Morante, Dino Buzzati, Umberto Eco. Oggi lo vince la Mazzantini.
I film li facevamo fare a Fellini, oggi a Moccia.
I grandi giornalisti se ne sono andati. Indro Montanelli, che dirigeva Il Giornale, è morto. È morto pure Enzo Biagi che tutti i giorni, dopo il TG1, conduceva Il Fatto. Ora, al suo posto, c’è il gioco dei pacchi.
Ma la cosa più disastrosa di tutte è la nostra scandalosa classe politica.
La sinistra non esiste più e oggi, per sentire concetti che la richiamano, dobbiamo ascoltare Fini. D’altra parte, quando era al governo, lo aveva fatto cadere per colpa dell’Udeur. Ed è tutto dire.
La destra, poi, è indecorosa. Ci ha fatto diventare la nazione dove il ministro della Giustizia vede bocciato il lodo Alfano da lui proposto, ma non si dimette. Dove i processi devono essere brevi, ma solo per chi c’ha i soldi. Dove il presidente del Consiglio ha una decina di capi d’accusa. Il paese che ha comprato circa 24.000.000 di vaccini contro l’influenza H1N1 (ne sono avanzati, pensate, solo 23.200.000) e che per convincere gli italiani a farselo fare ha scomodato pure Topo Gigio. Vabbe’, tanto con lo scudo fiscale ce lo possiamo permettere.
Se guardiamo al futuro, purtroppo, non siamo messi meglio. Ma, cari amici, la crisi è finita, non vene siete accorti? Siamo in ripresa, il Pil sale, il debito pubblico scende…
Intanto, però, vogliamo che comandi la Lega. Vogliamo che a raccogliere i pomodori ci vadano gli altri e non noi: per tutelarci, comunque, (o per favorire l’integrazione, come dice la Gelmini?) vogliamo mettere un tetto sul numero di immigrati nelle classi delle scuole elementari.
Vogliamo dedicare una via a Bettino Craxi, dimenticandoci, per un attimo, che era latitante a Hammamet.
Vogliamo ritornare alla tanto cara immunità parlamentare, per dire che la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno un po’ di più. Bisognerebbe, però, spiegare al Premier e alla sua coalizione che, come era stata concepita inizialmente, era stata abolita per via degli scandali di Tangentopoli.
Vogliamo pure riformare la Costituzione. E va bene, facciamolo. Sì, ma non per dire che l’immunità parlamentare è cosa buona e giusta. Al contrario, per dire che chi ci governa deve essere candido come un gatto albino; che i delinquenti, chiunque essi siano, devono andare in galera; che le vie d’Italia devono portare il nome di grandi personaggi; che la sinistra deve tornare a fare la sinistra; che gli italiani non sono un popolo di xenofobi come vorrebbero farci credere; che vogliamo vedere trasmissioni televisive che abbiano da dire di più di quello che vogliono dire un gruppo di oche in costume e di maschi depilati sul trono; che i giornali devono fare informazione e basta, lasciando da parte i loro commenti se sono faziosi; che chi non vuole vedere Natale sul Nilo non deve essere la minoranza; che non vogliamo essere giudicati come mafiosi.
Non vogliamo lasciare il nostro paese, perché è bello e ci piace, ma non fateci vergognare di essere italiani.

Santa Maradona

E vabbe, il film non è un granché, anzi, fa abbastanza schifo.
Purtroppo racconta la nostra storia. Quella, cioè, della nostra generazione, di laureati che non riescono a trovare lavoro. Qui sono Andrea e Bartolomeo, rispettivamente protagonista e co-protagonista (perché a Stefano Accorsi je dovevano fa’ fa’ pe’ forza il personaggio principale) che non lavorano, non sono iscritti a nessuna lista di collocamento («Io lo direi con un po meno dorgoglio, no?») e che vorrebbero prolungare all’infinito la loro adolescenza.
Eppure la trama è inconsistente, la storia d’amore pessima, la colonna sonora a tratti psichedelica che te sembra de sta sulle montagne russe.
Una nota positiva c’è, ed è Bartolomeo Vanzetti, il coinquilino di Accorsi.
Completamente accidioso, passa l’intera sua giornata in accappatoio a righe, trastullandosi coi videogiochi in cui ammazza nazisti indifesi. Fa la pipì seduto perché è troppo pigro per farla in piedi. Dice di fare il critico letterario, ma in realtà prende le recensioni dei libri da un quotidiano locale siciliano, le scansiona e le manda al suo giornale, spacciandole per sue. È segretamente innamorato di Lucia, «la nostra amichetta del terzo mondo» (perché italo-indiana) e insulta in continuazione il suo fidanzato, «Quell’essere mitologico? Quello col corpo da uomo e la testa di cazzo?!».
Però è borioso e saccente e questo mi piace.
Non ve vedete il film, perché non ne vale la pena, ma voglio concludere con l’unico elemento degno di nota o, comunque, uno dei pochi. Una signora entra in libreria chiedendo informazioni su un misterioso testo e Bartolomeo si spaccia per il commesso. Sentite cosa le dice.

Signora: «C’è un libro che vorrei. Me lo ha consigliato una collega a scuola, però, mi dispiace, non ricordo l’autore. Il titolo era: La profezia dei celestini».
Bartolomeo: «La profezia dei celestini… eh… Dunque, signora, temo ci sia un piccolo problema di confusione sul titolo. Allora, lei si confonde fra La compagnia dei celestini, Stefano Benni, Feltrinelli e La profezia di Celestino, James Redfield, Corbaccio. […] Deve sapere che il libro di James Redfield, La profezia di Celestino, è un libretto new age del cazzo e noi qui i libretti new age del cazzo non li abbiamo.»
Andrea: «È vero, mai avuti.»
Bartolomeo: «Ha sentito il collega? Invece La compagnia dei celestini è un best-seller e noi qui i best-seller non li abbiamo, abbiamo solo libri di qualità, è chiaro?!»

Avrei sempre voluto dirlo io… magari salvando il povero Benni!

Pathfinder, la leggenda del guerriero vichingo

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Volete passare due orette buone senza pensare? Ma DAVVERO senza pensare? Vedetevi Pathfinder, la leggenda del guerriero vichingo… e vabbe’, io l’ho visto, ma, a mia discolpa, dico soltanto che non ci avrei nemmeno pensato se non fosse stato per Ciro! E comunque ce semo fatti du’ risate! 
Avventura? Parliamone. Inizia con no stuolo de vichinghi brutti e zozzi che sbarcano in nord America, prima de Colombo… ve pare?! E già l’inizio è promettente. Perché poi i vichinghi avrebbero dovuto depreda’ dei poveracci non se sa. Combattono con gli indiani locali e se sterminano a vicenda: l’unico sopravvissuto è un giovane vichingo che verrà cresciuto dai nativi stessi per poi naturalmente diventare il loro salvatore… una sorta de Balla coi lupi dei poracci. Ma perché gli americani non riescono a accettare che un eroe possa non essere alto, biondo e bello? 
Questo, però, è uno tosto davvero che, un po’ Rambo un po’ Conan, nel freddo polare sta a torso nudo vestito semplicemente de uno straccetto de pelle de foca. E come l’hanno chiamato? Ghost. Ghost?! Ma che scherziamo?! È comunque un personaggio estremamente misterioso perché per tutto il film te chiedi come fa a mantene’ sempre la stessa espressione. Che peraltro è uguale a quella de’ n’orso marsicano in letargo. 
Tra improbabili combattimenti e una sceneggiatura approssimativa, scopiazzata (e peggiorata) qua e là, si dipana una trama fastidiosa e al limite dell’idiozia dotata di un happy  end tra il bel tenebroso e la Pocahontas di turno. Mancano proprio le basi. 
Un film di una banalità assurda: niente nomi, niente dialoghi (a che servirebbero, del resto?) condito da alcune delle scene più imbarazzanti che io abbia mai visto: voglio citare, a monito per chiunque abbia la malsana voglia di vederlo, la parte in cui i vichinghi inseguono il protagonista su slitte che non se sa da dove provengano e lui che, in una coraggiosa risposta, scivola temerario tra i ghiacci con uno scudo. Che tristezza.
Alla fine del film, pe’ quanto stai intontonito, te chiedi: «Ma l’ho visto veramente o so’ stato risucchiato in un buco spazio-temporale?» 
Filmetto de serie B? Come B?! Io direi… che ce sta dopo la Z?

Scusa ma ti chiamo ammòre

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No, no, io non l’ho visto e non lo vedrò mai, ma lha fatto mia sorella. Poverina, non criticatela, voleva solo farsi due risate! E, spinta dalla malinconia che l’ha pervasa dopo la visione, mi ha confidato, a capo chino per la vergogna, la traumatica esperienza di aver visto per la prima volta un film di Moccia. Allora ho cercato i commenti degli utenti di Internet che ho rimescolato un po’ per descrivervi questo capolavoro del neorealismo cinematografico. Ho deciso di intitolarlo Scusate ma la chiamo CAGATA, come qualcuno suggerisce.
Qualcun altro ha voluto invece fare una dedica a cotanto spettacolo:

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne letterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
[…]
Lasciate ogne speranza, voi chintrate.

Troppo nobile? Decisamente sì, allora cominciamo con gli insulti.  
Dopo gli oltraggiosi Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di te, Moccia sforna l’ennesimo insulto alla cultura, ma questa volta non gli è bastato scrivere il libro, ha voluto farne pure il film!
Indegno, lo splendore di quella gran Mocciola di un Federico, il regista/scrittore che ha ingoiato da bimbo tutti i libri delle collane Harmony e Lyala. Sorpassa ogni limite della tolleranza, un insulto allintelligenza umana, che inizia con una trama inconsistente per proseguire con le scandalose interpretazioni degli attori che sono incapaci e più antipatici delle pustole, la regia è più piatta di un tappeto, la storia è una ca**ata immane ed è di un’imbecillità disarmante. Meglio un clistere di acido solforico e chiodi!
I nomi? Perfettamente in stile Moccia: dopo Pollo, Pallina, Babi e Step, arrivano Niki e Alex, i due protagonisti della storia, lui 37enne e lei con ben vent’anni anni di meno. Insomma: un film immondo che tra l’altro sembra istigare alla pedofilia.
Lei è bella, vabbe’, ma ha ingoiato l’elio? Sembra un citofono, quando parla. Recita peggio della Bellucci... non credevo fosse possibile. Ma dove l’hanno presa?
In più, cè questa patetica filosofia da Bacio Perugina che viene pure resa esplicita da quelle sconfortanti frasi che Moccia spara in sovrimpressione.
Dopo una storia tormentata, soprattutto per chi la vede, tutto finisce bene: Niki ha una famiglia straordinaria che asseconda le sue storie di sesso senza battere ciglio e diventa pure una fotomodella, tutte le amiche trovano l’ammòre vero e Niki e Alex vanno a fare picci picci pucci pucci sul faro… nessuno si chiede come camperanno.
Un film geniale il cui contenuto principale è che forse il linguaggio T9 è l’unico che Moccia sa scrivere. Pessimismo e fastidio.
Faccio i complimenti a chi è riuscito a portare a termine la visione perché è assolutamente imbarazzante. Non me la sento di commentarlo oltre... già la vergogna per averlo visto è tanta. Scusate, non lo farò mai più. Ma almeno non c’era Scamarcio…

giovedì 18 marzo 2010

La casa delle donne

A casa mia siamo tutte donne: io, mia sorella, mia madre, mia zia e, come se non bastasse casa nostra, al piano di sotto c’è pure mia nonna. Siamo talmente abituate, in famiglia, a essere tutte donne che, anche quando abbiamo adottato il nostro nuovo gatto, lo abbiamo scambiato per una di noi, tanto che il poveretto porta ancora i segni di quello sfortunato errore: si chiama Birba, come la gatta di Gargamella.
Effettivamente un uomo, unico e solo in questo mare di femminilità, c’è ed è mio padre. Prima c’era anche mio nonno, che però è morto, sordo, secondo me perché, come nei migliori esempi di adattamento della specie, aveva sviluppato questa capacità per non ascoltare mia nonna.
Naturalmente mio padre non è ancora arrivato allo sfinimento, ma sta gradualmente cedendo, tanto più che a casa nostra siamo tutte affette da, come si direbbe in provenzale antico, “rompicoglionesimo”. In realtà l’unica che non lo manifesta nel senso corrente del termine è mia sorella, la sua figlia preferita, che però lo esplica in altri modi: papà l’accompagna ovunque, è come la sua ombra. Addirittura la porta agli esami e le fa i pezzi dei plastici (come tutte noi altre, del resto). Mia sorella non è come il resto di noi mortali: lei non ha mai (o quasi mai) preso il treno o l’autobus. D’altra parte ha il suo chauffeur personale.
Neanche io sono da meno, infatti l’ultima volta papà mi ha detto, cito testualmente, «Figlia mia, sei proprio una iattura!».
Anche mia zia ci mette del suo, per non parlare di mia nonna, che, dietro le mentite spoglie di due povere e cieche vecchiette, lo assillano più che mai.
Ma la vera rompicoglioni d’oro è mia madre che lo porta davvero all’esasperazione.
Questo risentimento celato nei nostri confronti si manifesta in molteplici forme e mio padre, da pacato e serio professionista, si trasforma nei più svariati personaggi a seconda delle situazioni, una specie di Dottor Jekyll e Mister Hide.
Alla guida diventa posseduto, sembra quasi irriconoscibile, insulta praticamente chiunque, in un idioma non ben identificato non dissimile dal montopolese romanizzato… be’, no, forse solo romano, perché il montopolese lo parla quasi esclusivamente in presenza soltanto dei suoi fratelli… d’altra parte, qualsiasi altro appartenente alla razza umana non lo capirebbe.
E poi gli piacciono gli sport estremi, non si accontenta, per esempio, da bravo sessantenne, di una bella camminata in campagna… eh, no, il pericolo è il suo mestiere. Quando va in vacanza, rigorosamente in montagna perché rifugge il caldo e il mare, il suo sport preferito è il lancio col paracadute.
Inoltre ha l’hobby della caccia. Per anni ha ingannato me e mia sorella dicendoci che “sparava solo agli uccellini vecchi e malati”. Adesso, dopo essere stato calorosamente incoraggiato da noi tutte, non ha rinnovato il porto d’armi e meno male, altrimenti in Italia ci sarebbe stato un caso in più di omicidio familiare di massa.
Un’altra sua malsana passione, manifestazione chiara del suo stress, è la capacità praticamente infinita di accumulare cd e dvd, soprattutto di Totò, che lui dice che vedrà quando andrà in pensione. Nel frattempo, nonostante abbia ormai raggiunto l’età, in pensione non ci va perché sa benissimo che facendolo sarebbe costretto a subire i ricatti della famiglia al completo.
Si rifugia nella cultura perché sa che lì noi non potremo mai intervenire, come anche nello sport che guarda tristemente da solo, dato che noi sappiamo a malapena che cos’è il calcio.
Chiaramente una presenza maschile manca a fargli compagnia. Sarà per questo che da quando siamo piccole a me e a mia sorella propone sempre “un bel taglio alla maschietta”?

mercoledì 17 marzo 2010

Basta che funzioni

Sapete quando tutto vi appare chiaro e capite come sarà il vostro futuro?
Be’, io l’ho capito guardando questo film: sono assolutamente sicura che da vecchia sarò come il protagonista di Basta che funzioni.
Boris è un fisico in pensione, borioso e intollerante, costantemente attento a denigrare chiunque gli si faccia davanti e a soddisfare le sue paranoie cantando «Tanti auguri a te» per scacciare i germi quando si lava le mani.
In una New York dove Dio è solo un gay arredatore, tutto può accadere e infatti Boris accoglie in casa sua Melody, bionda ochetta del Sud, scappata di casa: i giorni diventeranno settimane, le settimane mesi e i mesi… matrimonio! Eh, sì, perché, per il potere del contrappasso, Boris sposerà una che non riesce nemmeno a capire che mestiere fa suo marito («…per poco non sono stato candidato per il premio Nobel», «E per che cosa? Miglior film?»). Il tutto condito da una di lei madre che, da bigotta campagnola, diventerà una raffinata artista, pienamente soddisfatta dal ménage à trois con i suoi due amanti e un di lei padre che svelerà al mondo, ma soprattutto a sé stesso, la sua finora nascosta omosessualità.
Chiedo venia, ma non avevo mai visto un film di Woody Allen e l’ho trovato semplicemente geniale, soprattutto perché non sono mai riuscita a spiegare cosa fosse l’entropia a uno che non avesse studiato fisica generale, allora lo lascio fare a lui: sostiene che sia «il perché non si riesce a rimettere il dentifricio nel tubo». Dubito che qualcun altro avrebbe saputo dirlo meglio.
 
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