mercoledì 26 maggio 2010

Il cavaliere inesistente

Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez. Tanti nomi perché non ne possiede veramente nessuno. Infatti è un cavaliere inesistente, tenuto insieme solo dalla forza di volontà che, per una sfortunata serie di incidenti, si ritrova come scudiero Gurdulù. Un gioco del destino. Infatti se, da una parte, abbiamo Agilulfo che è ma non c’è, dall’altra abbiamo Gurdulù che non sa di essere ma c’è, incosciente perché confuso con ciò che lo circonda.
Essere o apparire? Questo è il dilemma. Oggi come oggi potremmo rispondere: «La secònda che hai detto!» E in molti casi non andremmo tanto lontani dalla verità.

Comunque, tanto per sdrammatizzare un po’ questo post… pedante, preciso, ordinato, critico, razionale, maniaco della perfezione… mmm… io credo che se Agilulfo fosse vissuto nel nostro secolo sarebbe stato un ingegnere!

lunedì 17 maggio 2010

Don Chisciotte della Mancia


In un borgo della Mancia viveva un gentiluomo spagnolo di nome Alonso Quijano, la cui età rasentava i cinquant’anni, che si assorbì tanto nella lettura di romanzi cavallereschi, “le notti, dal principio alla fine, e i giorni, dalla mattina alla sera”, che perse il senno. Sellato il suo ronzino, ch’egli trovava “non potesse reggerne il confronto neanche il Bucefalo di Alessandro” Magno seppur pieno di acciacchi cui diede il nome di Ronzinante ovvero “primo fra tutti i ronzini del mondo”, partì in cerca di avventure credendosi un nobile cavaliere errante. “Dato il nome, e un nome tanto di suo gusto, al cavallo, volle darsene uno anche lui”, così optò per don Chisciotte della Mancia, che gli sembrava “rivelasse chiaramente il suo lignaggio e la sua patria”.
Poi si pose l’annoso problema della dama di cui innamorarsi, poiché “un cavaliere errante senza amore è come un albero senza foglie né frutti”, così scelse Aldonza Lorenzo, una contadina, che cambiò in un altisonante Dulcinea del Toboso.
Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti e, come gli eroi dei romanzi, porta con sé uno scudiero in sella al suo asinello, Sancho Panza, a cui promette il governo di unisola in cambio dei suoi servigi.
E così, dopo essersi fatto armare cavaliere da un oste (che lui crede castellano), accompagnato nella cerimonia da due sgualdrine (che lui crede due avvenenti donzelle), comincia l’avventura di colui che diventerà “Il Cavaliere dalla Trista Figura”, in seguito a tutte le sconfitte subite e alle botte prese. I suoi nemici, infatti, sono tutte immagini della sua fantasia cavalleresca: mulini a vento, che crede giganti dalle braccia rotanti; greggi di pecore e montoni, che prende per eserciti nemici; barbieri che portano in testa catinelle di rame, scambiate per elmi di Mambrino.
Neanche nella seconda parte della sua avventura il nostro protagonista se la caverà meglio poiché non troverà gloria sul suo cammino, ma solo teatranti che gli tireranno le pietre, leoni che gli mostreranno il deretano e duchesse che lo inganneranno per divertimento. E se don Chisciotte verrà così amaramente maltrattato, il povero Sancho non se la caverà poi tanto meglio perché otterrà, sì, il governo della tanto agognata isola che poi isola non sarà ma preferirà tornare alla sofferenza della vita da scudiero che perire la fame.
Comico e tragico, Don Chisciotte della Mancia vuole raccontarci la realtà deformata di una folle mente cortese, che, inizialmente fuori di senno, vedrà poco a poco vacillare la sua certezza cavalleresca, alimentata solo dalla sua pazzia, al punto tale da chiedersi: chi è davvero l’ingannato: l’eroe di questa storia o il lettore di questo racconto?

martedì 11 maggio 2010

Babbo bastardo

Se odiate l’improvvisa voglia di tenerezza che pervade l’animo di tutti coloro che vedono approssimarsi il Natale, disprezzate quell’atmosfera da Casa nella prateria che impregna anche le menti più crudeli e desiderereste radere al suolo il campo di dorate spighe di grano che circonda la casa del Mulino Bianco, allora forse vi piacerà l’esplicita cattiveria di questo irriverente Santa Claus. Ubriacone, sboccato e che avrebbe preso a schiaffi il bambino di Quattro salti in padella se solo avesse osato dire: «Peccato, tutto petto!», anno dopo anno, ogni festività natalizia, rapina, insieme al suo complice - un nano nero che indossa punte di orecchie da elfo bianco - i centri commerciali in cui è costretto a lavorare ascoltando le richieste di dono degli odiosi marmocchi tenendoli sulle sue ginocchia.
A conquistare il falso Babbo Natale non sarà, però, una romantica freccia, bensì un cetriolo scolpito da un bambino ciccione.
L’happy end c’è, ma non è del tutto happy. D’altra parte, “Shit happens when you party naked”, ossia “È inevitabile che succedano casini se vai alla festa nudo”… lo scoprirete solo guardandolo. Alla faccia di chi dice che sono una spoiler!
Inutile dire che mi è piaciuto.

giovedì 6 maggio 2010

Adotta un gatto

Teneri come Hello Kitty, paffuti (e meno) come Isidoro, vivaci come Grattachecca, pigri come Garfield, questi piccoli batuffoli acchiappa topi aspettano solo te… adottane uno! Derattizzerai casa tua e contribuirai a non far diventare la mia come quella degli Aristogatti!
Poiché volevamo (plurale maiestatis) stupirvi con effetti speciali, abbiamo addirittura richiesto... e ottenuto... il lavoro di uno dei grafici migliori che ci siano oggi in circolazione (che naturalmente è Ciro!).

lunedì 3 maggio 2010

Caterina va in città

Caterina, insieme alla sua famiglia, si trasferisce dal paesello alla grande metropoli, tra lo sgomento dei suoi parenti e i rimbrotti di Cesarino che dice che, sì, Roma è «una città molto valida dal punto di vista storico, ma troppo dispersiva e piena di str**zi».
Con un padre meschino, insoddisfatto del proprio lavoro, fallito nelle sue ambizioni letterarie e una madre più che sempliciotta, non c’è da stupirsi che la povera Caterina si vergogni di dire ai cosmopoliti compagni il nome del suo borgo di provincia, Montalto di Castro («Nord, nord ovest… tipo costa tirrenica», che un suo compagno non esita a commentare con l’esilarante battuta «Le freshche frashche»), dove le sole teste rasate sono «i miei cuginetti quando hanno preso i pidocchi alla scuola materna» e in cui l’unico centro sociale è Il Trombolone, frequentato da un «gruppo di pensionati simpaticissimi che organizzano tornei a scopone».
Tra comunisti e fascisti in miniatura, l’unica “non classificata” è proprio Caterina che, dopo un breve idillio con Margherita la zecca - quella che va in giro e fa cose, figlia di un famoso scrittore -, comincia a frequentare Daniela la pariola - quella che canta Faccetta nera, figlia di un uomo politico -, fino a che non la sentirà criticare il proprio abbigliamento («Sembra un’extracomunitaria») e il proprio padre.
Schifata dai cittadini e, dopo essere diventata cittadina, anche dai paesani («…come tutti quelli di Roma che si credono ‘sta ceppa solo perché stanno nella capitale e hanno due squadre in serie A!»), si consola ballando da sola mentre ascolta l’opera.
Amaramente il film si conclude con un caloroso abbraccio fra l'intellettuale di sinistra e il politico di destra perché, si sa, gli estremi, come in un cerchio, si rincontrano.

I ruoli sociali dei genitori delle compagne di scuola di Caterina, agli antipodi, possono facilmente essere traslati in quelli delle loro figlie, infatti i rapporti in aula, che rappresenta la società in piccolo, sono meri giochi di potere, ad emulazione di quelli dei propri cari che, se da una parte ricoprono cariche intellettuali e politiche al più alto grado, non riescono dall’altra a gestire la propria vita.
Una commedia amara che testimonia lo smarrimento degli adolescenti (ma anche no) alla ricerca della propria identità, ma anche il decadimento della società di oggi, divisa tra idee nettamente contrapposte e che gridano a gran voce di esserlo, che però alla fine inseguono l’unico, comune, scopo di affermare la propria superiorità. 
Il tutto raccontato piuttosto cinicamente e di certo non attenuato dal lieto fine in cui la protagonista, estranea a tutto ciò che la circonda, topo di campagna perduto nella vastità della metropoli, corona il sogno della sua vita.
 
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