Invisible monsters è un’invettiva grottesca incentrata su una protagonista la cui sorte di vita di corpo le riserva una vita senza corpo, un vuoto mandibolare (metaforico e no) che – come dice Brandy – dovrà essere riempito dagli altri.
Così Kay, con la poca identità che l’estetica le concede, sempre in cerca di un riconoscimento sociale che non trova nemmeno nell’intimità familiare, vedrà in Brandy (evidente l’assonanza con Barbie, e nel nome e nei fatti) il riscatto che cercava.Un’allegoria del diverso che rielabora il mito di Frankenstein in chiave pop.
La scrittura scattosa, come se si fosse in uno shooting fotografico, per niente descrittiva (e pure qua echi dei nostri Cannibali), è una metanarrazione, si è in un romanzo-film, pieno di flashback e flashforward, anche e soprattutto per svolgere una trama che solo alla fine collegherà i personaggi.
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