In un borgo della Mancia viveva un gentiluomo spagnolo di nome Alonso Quijano, la cui età rasentava i cinquant’anni, che si assorbì tanto nella lettura di romanzi cavallereschi, “le notti, dal principio alla fine, e i giorni, dalla mattina alla sera”, che perse il senno. Sellato il suo ronzino, ch’egli trovava “non potesse reggerne il confronto neanche il Bucefalo di Alessandro” Magno – seppur pieno di acciacchi – cui diede il nome di Ronzinante ovvero “primo fra tutti i ronzini del mondo”, partì in cerca di avventure credendosi un nobile cavaliere errante. “Dato il nome, e un nome tanto di suo gusto, al cavallo, volle darsene uno anche lui”, così optò per don Chisciotte della Mancia, che gli sembrava “rivelasse chiaramente il suo lignaggio e la sua patria”.
Poi si pose l’annoso problema della dama di cui innamorarsi, poiché “un cavaliere errante senza amore è come un albero senza foglie né frutti”, così scelse Aldonza Lorenzo, una contadina, che cambiò in un altisonante Dulcinea del Toboso.
Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti e, come gli eroi dei romanzi, porta con sé uno scudiero in sella al suo asinello, Sancho Panza, a cui promette il governo di un’isola in cambio dei suoi servigi.
E così, dopo essersi fatto armare cavaliere da un oste (che lui crede castellano), accompagnato nella cerimonia da due sgualdrine (che lui crede due avvenenti donzelle), comincia l’avventura di colui che diventerà “Il Cavaliere dalla Trista Figura”, in seguito a tutte le sconfitte subite e alle botte prese. I suoi nemici, infatti, sono tutte immagini della sua fantasia cavalleresca: mulini a vento, che crede giganti dalle braccia rotanti; greggi di pecore e montoni, che prende per eserciti nemici; barbieri che portano in testa catinelle di rame, scambiate per elmi di Mambrino.
Neanche nella seconda parte della sua avventura il nostro protagonista se la caverà meglio poiché non troverà gloria sul suo cammino, ma solo teatranti che gli tireranno le pietre, leoni che gli mostreranno il deretano e duchesse che lo inganneranno per divertimento. E se don Chisciotte verrà così amaramente maltrattato, il povero Sancho non se la caverà poi tanto meglio perché otterrà, sì, il governo della tanto agognata isola – che poi isola non sarà – ma preferirà tornare alla sofferenza della vita da scudiero che perire la fame.
Comico e tragico, Don Chisciotte della Mancia vuole raccontarci la realtà deformata di una folle mente cortese, che, inizialmente fuori di senno, vedrà poco a poco vacillare la sua certezza cavalleresca, alimentata solo dalla sua pazzia, al punto tale da chiedersi: chi è davvero l’ingannato: l’eroe di questa storia o il lettore di questo racconto?
2 commenti:
Ho quasi finito il primo libro!
Una lettura straordinaria!
Che bella la tua recensione, avrei voluto scriverla io.
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