Amanti delle trame, per il vostro bene: non avvicinatevi
all’Incanto del lotto 49. Trame non
ne troverete. Intrighi, sì, a palate. Soprattutto irrisolti.
Un filo flebile lega a sé i caotici episodi del romanzo, una
(presunta) cospirazione mondiale che coinvolge le trasmissioni postali. E un
lotto, il 49, di francobolli, falsi autentici (felice ossimoro) di
un’organizzazione antichissima che si oppone ai canali convenzionali della
comunicazione.
In embrione i temi cari al geniale David Foster Wallace,
che pare si sia ispirato all’Incanto del
lotto 49 quando scrisse Infinite Jest:
droga, paranoia, ossessione e comunicazione, appunto. Solo che l’allievo supera
il maestro, secondo me. La forza e l’intensità dei romanzi di Wallace si deve anche,
e inevitabilmente, alla loro lunghezza, che permette all’autore di conferire
peculiarità al mondo che descrive e a coloro che ne sono parte. Qui, invece,
benché abbiano gli stessi tratti satirici e nei caratteri e nei nomi, i
personaggi risultano poco incisivi e di loro si capisce ben poco. Alla ridondanza
di informazioni di Wallace si contrappongono in Pynchon figure indolenti prive
di passato. Appena accennate.
E questo non mi ha fatto apprezzare il romanzo come forse
avrebbe meritato, perché bisogna stare non più di un passo oltre il lettore. Se
se ne fanno troppi, quello si stufa.
Infine, una facile chiattiveria. Triste, anzi Trystero,
l’errore di Einaudi Stile libero che, invece di copiare la copertina che hanno proposto
tutti gli editori da che Gutenberg inventò la stampa, in uno slancio d’ingegno
sostituisce il corno postale con una moderna tromba da jazz (ci volevate
portare direttamente a New Orleans?!). A dimostrazione che i romanzi
toccherebbe leggerli se si vuole pubblicarli.
Per la cronaca, L’incanto
del lotto 49 era edito da e/o. Che la copertina l’aveva azzeccata.