È da quando sei nato che combatto tra la voglia di vederti rimanere piccolo e quella di vederti crescere, ma non per la vita, quella no, amore mio, quella te la vorrei risparmiare davvero, e fare un distillato solo di cose belle, però vorrei vederti crescere per fare con te il giro del mondo col Nautilus, tu nel letto e io su una sedia scomoda per non addormentarmi, e mettere i puntini nel mappamondo, e farti vedere le cose non come le vedono gli altri, fartele vedere da sotto, ventimila leghe sotto i mari, ché magari da sotto, mutuate dall’acqua, si bagnano e si tolgono i preconcetti, tutti, ma poi sei così bello, da piccolo, che vorrei tenerti sempre tra le braccia, mentre agiti quella manina grassoccia coi buchetti che vuole la cucchiarella.
Vorrei
insegnarti non a leggere, no, quello lo lascio alle maestre, io vorrei
insegnarti joycewallacegadda, ma solo dopo essere passato per
coleridgebyronshelley, e i colori, dal petrolio di Pasolini al rosso malpelo, e
le canzoni, quelle dello Zecchino d’oro che cantavamo quando eravamo piccole, io
e tua madre, ma soprattutto i madrigali senza suono, lo prendo in prestito,
questo titolo bellissimo, per insegnartene altri, come Si riparano bambole, o Il
rumore sottile della prosa, ma ci arriveremo quando sarai più grande, nel
frattempo voglio insegnarti a essere poco Pinocchio, e a difenderti dal Gatto e
la Volpe, ché nella vita vera mica sono vestiti da animali. Voglio insegnarti
un Pinocchio parallelo, come quello di Manganelli, e a non vedere le cose
dentro schemi coatti, a guardarle dentro tutti i prismi, come quelli dei Pink
Floyd, ma quelli te li insegnerà papo, ché io di musica non capisco un cazzo.
E voglio
parlarti di zia Lidia, ché quando si parla di vita senza schemi io penso solo a
lei, ch’è stata la nostra Jo March, quella vera, non quella della Alcott che
poi si è venduta all’editor: è che nella vita è tutta questione di editing.
E a
chi ti dice che non puoi fare quello che vuoi non ci credere. E a chi ti dice
che il treno passa solo una volta nemmeno, perché magari è Trenitalia, e è solo
in ritardo.
Vorrei
baciarti di rime, di rime baciatissime, pure se a te i baci non ti piacciono
tanto, ma io ti costringo perché sei piccolo e posso ancora decidere io.
Vorrei
insegnarti tante parole nuove, da vocabolario, da maestrina radical chic quale
sono da sempre, anche se ora, a casa, tutti diciamo ni quando dovremmo dire elicottero,
e mao e bau per gatto e cane, e io sono Iaia, Chiara era veramente troppo
difficile, e quella volta che l’hai detto – agitando la testa piena di capelli
riccissimi e spettinati, pieni di capricci e pensieri – pensavo che mi
scoppiasse il cuore, quindi, a volte, penso alla felicità, e che a me basta
evocarla a colpi di cucchiarella.