C’è
poi il fatto che quando tu hai scritto un romanzo su un reality show arrivato
al parossismo per rappresentare il depauperamento valoriale dei giorni nostri
non puoi non apprezzare qualcuno che ha scritto un romanzo su un’isola su cui
arriva un’onda umana i cui cadaveri vengono trattati alla stregua di una
qualunque materia prima per rappresentare il superamento dell’etica.
C’è
poi anche il fatto che quando tu hai scritto un romanzo in cui si omettono moltissime
virgole non puoi non apprezzare qualcuno che ha scritto un romanzo in cui si
omettono molte virgole.
C’è
poi infine il fatto che, in questo romanzo di Giulio Cavalli, la
disumanizzazione sta nell’uguaglianza dei corpi, tutti uguali, quasi identici,
si suppone allevati – ché anche le parole hanno il loro peso – allo stesso modo,
e cominciano i noi e i loro, e così il cimitero di quelli, che non hanno nemmeno diritto al pronome, e dunque un
sovranismo portato all’eccesso, i cui esponenti si ergono al di sopra della
legge, coniandone una nuova, senza contare che quella legge è il risultato di
un retaggio, sociale, culturale, con l’industria che si autoregolamenta, nell’immoralità,
in una prospettiva che non dovrebbe, ma dimentica l’umanità e quando il noi e
il loro perpetra, allora sì che la rabbia contro i già morti si sustanzia in assassinii
già compiuti, e l’ira dei cittadini di DF cresce parimenti a quella dei marosi,
per poi finire in una voluta di fumo tossico al profumo di lavanda.